Il ruolino di marcia del suo 2015 dice 45 giorni di corsa, circa 8000 chilometri con il dorsale sulla maglia, qualche piazzamento ed un 2° posto di quelli che ti perseguita come uno spettro per diverse notti. Ha corso in Europa, Asia e America. Una stagione, la prima da professionista, in maglia UnitedHealthCare, passata a fare esperienza per testare il talento, tracciare i limiti, e pesare i sogni. Federico Zurlo è tornato da pochi giorni nel proprio Veneto, terra umida ed immersa in una fitta nebbia. Strade coperte da un naturale tappeto di foglie. Bici in garage. Quella da corsa almeno. Lui fermo non sa stare e così si divide tra Mountain Bike, calcio, tennis. Tempo per amici e affetti. Tempo libero, ma niente vacanza. Le gambe non mulinano, ma la testa quella sempre. Un corridore è tale anche quando scende di sella. Il pensiero al 2016. Alle nuove sfide. La prima richiede di sedersi al tavolo e trattare. Mettere una firma su un nuovo contratto, stringere una mano. Facendo una nuova scommessa con se stesso. E rispondere alla prima domanda: con chi correrà Federico Zurlo nel 2016?
Federico un anno con la valigia in mano a pedalare intorno al mondo. Ora torni a casa e la apri…cosa ci trovi dentro?
“Una stagione lunga ed intensa. Andata abbastanza bene, anche se i risultati non rispecchiano al meglio il mio 2015. Ho lavorato tanto e sodo, mi sono messo a disposizione della squadra per aiutare i nostri capitani. Ho visto da vicino i grandi campioni del mondo del ciclismo e ho preso le misure del mondo del professionismo. Ho ottenuto qualche piazzamento ed ho sfiorato la vittoria ottenendo un 2° posto in Norvegia. Insomma l’esperienza americana è stata bella ed emozionante”.
Risultati a parte, che obiettivi senti di aver raggiunto?
“L’obiettivo era imparare tanto, fare esperienza, capire il mondo del professionismo. Quest’anno non penso di essere andato piano. Ho fatto tante corse, mi sono buttato nella mischia in tante volate. Ho preso le misure ed ho capito che il livello è alto e ci sono tanti dettagli che fanno la differenza tra il potersi giocare la vittoria o no. E penso di avere le possibilità per dire la mia in futuro”.
Sembra un buon bilancio. Ma è abbastanza?
“Per me no. So di poter fare molto di più”.
Riavvolgiamo il nastro, gli highlights del tuo 2015. Emozione più grande?
“Il 2° posto ottenuto nella seconda tappa dell’Artic Race in Norvegia…”
Quando si dice a pochi centimetri dalla vittoria.
“Sembrava davvero fatta. Avevo fatto tutto giusto battezzando la ruota più veloce e cogliendo l’attimo buono per uscire. Ero davanti, stavo quasi per mollare, le gambe tremavano, non ce la facevano più. Era fatta. Ai 20 metri invece mi vedo sbucare sulla sinistra un fulmine bianco: Sam Bennet”.
Reazioni ?
“All’inizio tanta rabbia, ed un pugno forte sul manubrio. Era un 2° posto che sapeva di beffa. Qualche minuto dopo però a mente fredda ho riletto l’ordine d’arrivo. E nel vedere chi avevo messo dietro (anche il gigante Alexander Kristoff, ndr) ho provato gioia e soddisfazione”.
Poi il tuo nome è finito su molti taccuini di esperti di ciclismo per la tua ottima Parigi-Roubaix…
“Beh alla fine ho fatto un 59° posto. Sono andato forte, ma resto convinto che avrei potuto fare di più se un virus non mi avesse limitato durante la preparazione. E’ stata comunque un’emozione fortissima è una corsa epica e si respira il vero ciclismo. Il fatto poi che fosse la mia prima volta alla Roubaix e di aver tenuto il ritmo di tanti veterani mi ha fatto conoscere all’attento pubblico del grande ciclismo”.
Cosa invece non è andato nel tuo 2015?
“Purtroppo dopo il campionato italiano ho corso poco. Qualche guaio fisico, un po’ di sfortuna. Se le cose fossero fossero andate diversamente avrei potuto giocarmi meglio il finale di stagione. Invece ho perso il ritmo di corsa e senza quello fai poca strada”.
Guardando al futuro, dove senti di poter migliorare?
“In salita c’è da stringere i denti. Il ritmo è alto ed è li che bisogna salvare la gamba per poi giocarsi le corse. Ma la cosa non mi fa paura, ho visto che quando sto bene tengo il ritmo senza problemi”.
Parliamo di United Health Care: come ti sei trovato nel blu train statunitense?
“Mi sono trovato molto bene. L’UHC è davvero una buona squadra, per organico ed organizzazione. Devo dire un grande grazie a dirigenti, DS, addetti della squadra, compagni. Per me è stata una scuola”.
Al termine della stagione però le vostre strade di separeranno. Perché?
“Purtroppo a fine anno uno sponsor non ha rinnovato per il 2016 e molte cose sono state riviste. A partire dal calendario della prossima stagione che sarà prevalentemente concentrato negli Stati Uniti”.
Il tuo contratto con l’UHC non era però scaduto…
“Si è vero avevo un altro anno, ma loro sono stati onesti lasciandomi libero visto che le condizioni ed i piani del team sarebbero cambiati. Così ho potuto scegliere. E io voglio correre in Europa, dove c’è il grande ciclismo, dove ci sono i più forti”.
Con che squadra correrai nel 2016?
“Ancora non si sa. Sto trattando con alcune formazioni, ho diverse proposte sul tavolo. Sono rientrato a casa e mi sono preso qualche giorno per riflettere. E’ un passo importante per il mio futuro e devo valutare le diverse alternative. Tra pochi giorni prenderò la mia decisione e metterò la firma sul mio nuovo contratto”.