Ordine d’arrivo:
1° Julian Alaphilippe (Francia) 6h38’34”
2° Wout Van Aert (Belgio) a 24″
3° Marc Hirschi (Svizzera)
4° Michal Kwiatkowski (Polonia)
5° Jakob Fuglsang (Danimarca)
6° Primoz Roglic (Slovenia)
7° Michael Matthews (Australia) a 53″
8° Alejandro Valverde (Spagna)
9° Maximilian Schachmann (Germania)
10° Damiano Caruso (Italia)
Per chi suona la campana. Stavolta la campana (quella dell’ultimo giro, suonata per inciso da Chiara Lovat, giudice di gara trevigiano) è suonata per Julian Alaphilippe. Un percorso strepitoso che ha regalato emozioni infinite e fino all’ultimo chilometro rimasto apertissimo alle possibilità. Imola ne esce vincente comunque in un mondiale che ha salvato le terga all’Uci agli ultimi 20 giorni. Il mondiale previsto fino alla fine di agosto in Svizzera, a Martigny e sospeso per i divieti legati al Covid, avrebbe comunque creato problemi. Sulla salita disegnata dagli Svizzeri per la gara iridata è caduta la prima neve. Per scalare la lunga e difficile salita elvetica sarebbero serviti gli sci.
Insomma ha vinto “Loulou”, il gitano. Il ragazzo francese che pochi mesi fa ha perso il padre e arriva da una famiglia di gitani. Ci ha creduto sino all’ultimo, ha giocato in attesa e quando mancavano settanta chilometri ha messo alla frusta la squadra francese e alla fine, sul circuito imolese che tante vittorie iridate ha regalato al mondo delle moto Gp e dei Gran Premi di Formula Uno, è suonata la marsigliese. Alla fine tutto è bene ciò che finisce bene. Eccetto la vittoria italiana. Si sperava di replicare il mondiale del 1968 con la vittoria in solitaria di Vittorio Adorni. Evidentemente Alaphilippe ha guardato il video vintage guardando le saltella alle spalle di Imola. Ma il tracciato non era lo stesso dei Tre Monti. Comunque uno spinto lo ha preso. E ha attaccato al momento giusto. Un mondiale che mette in pace il mondo delle due ruote, unico sport ad essere riuscito ad organizzare grandi eventi nonostante le problematiche legate al Covid. Sale sul podio Julian Alaphilippe. E piange lacrime vere, di commozione, anche di disperazione per la assenza del padre che lo ha sempre sostenuto nella sua carriera ciclistica. E il ciclismo ha il suo campione, quello che meritava la maglia iridata in questa stagione strana.
Non mette però in pace il ciclismo azzurro. Una nazionale che ha toppato anche in questo mondiale.
Una nazionale non pronta per questo percorso e senza gli uomini giusti. Diciamolo, nonostante tutta la stima che abbiamo per Davide Cassani. Damiano Caruso, Giovanni Visconti forse hanno fatto il proprio tempo. La scelta giusta di Bagioli, giovane promettente. Ma altri sinceramente forse non avevano la forma giusta per questa gara imolese. Non siamo tecnici, facciamo i giornalisti, ma alcuni corridori come Andrea Vendrame o Andrea Pasqualon avrebbero potuto essere gli uomini giusti per questo percorso.
E come ha raccontato giustamente Gasparotto che ha corso il suo primo mondiale con i colori della nazionale svizzera: “Che attaccamento posso avere per la maglia azzurra. In tanti anni non ho avuto nessuna convocazione, se non una sola volta, come riserva, con Bettini. Mai un interessamento per me, avrei potuto dire la mia su questo tracciato. Cassani non mi ha scelto nemmeno questa volta. Quindi ho preferito assecondare la convocazione con la nazionale elvetica”.
Il buon Nibali ha fatto il meglio che ha potuto, è rimasto li fino agli ultimi 20 chilometri, ha messo fuori il naso, poi quando gli altri hanno aperto sul gas, è rimasto li sull’ultima salita. Comunque il bilancio di questo mondiale organizzato in fretta e furia è più che positivo. L’autodromo di Imola era senza dubbio la migliore scelta e Marco Selleri che si è preso in carico tutto l’onore più che l’onore dell’organizzatore dell’evento, il miglior organizzatore ora sulla piazza. Con le limitazioni legate al Covid altre situazioni non sarebbero state possibili.
E diciamola chiaramente ancora: Imola ha parato il lato B alla Uci. Oltre alla neve che sta cadendo sulla Svizzera, l’Uci se non avesse organizzato le gare iridate (anche se limitate alle crono donne elite e professionisti) e le due prove su strada (sempre donne elite e professionisti) avrebbe perso fior di milioni di euro con i diritti televisivi e sarebbe finita gambe all’aria. Ecco, sarebbe fondamentale che le nazionali mettessero un pò in croce il palazzo del ciclismo mondiale. E ricominciassero a fare la voce grossa. E anche l’Italia avrebbe bisogno di imporre la propria voce. Le polemiche sorte fra Cio e ministro Speranza invece lasciano il tempo che trovano. L’importante che vinca il ciclismo.