Efficacia esimente della verità putativa del fatto riportato dal cronista. Tale è il caso che si verifica laddove il giornalista, operata la dovuta rigorosa verifica sull’attendibilità delle proprie fonti di informazione e acquisita la convinzione di avere a che fare con una notizia vera, decida per la pubblicazione, pur rivelandosi in seguito la notizia medesima totalmente o parzialmente falsa. La più recente giurisprudenza accoglie la tesi per cui è scriminata la diffamazione a mezzo stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, poi rivelatosi non vero, qualora il cronista abbia compiutamente assolto l’onere di rigoroso vaglio preliminare sulla attendibilità dei canali informativi.
Così la giurisprundenza sul preciso onere di seria e diligente verifica della attendibilità di tutte le notizie riportate. E così parla chiaro la giurisprudenza in merito al delitto di diffamazione a mezzo stampa. E’ necessario, anzi doveroso, sempre e comunque accertare la veridicità della notizia prima di diffonderla. E deve essere il direttore a verificare ogni notizia prima che sia pubblicata. Decenni di deontologia professionale, di codifica di ciò che significa cronaca, notizia, decenni di battaglie, di costruzioni di leggi sulla stampa, di creazione di un albo professionale con tanto di legge del 1963. Notti insonni a preparare un esame di Stato, a studiare giurisprudenza, a comprendere il giornalismo in ogni sua sfaccettatura. Soprattutto a verificare le fonti e la veridicità della notizia stessa.
E poi d’un soffio tutto sfuma con un R.I.P. Un requiescat in pace, riposi in pace, quando invece il cuore di un giovane corridore di 19 anni batte ancora baldanzoso nel petto. E la voglia di lottare contro quel velo nero chiamato morte che per un attimo ha accarezzato, sfiorato il suo volto sorridente, ha preso il sopravvento. Keagan Girdlestone vive. Non si sa come vivrà, se potrà salire in bicicletta, se sarà lucido nell’affrontare una discesa come ha sempre fatto, ma Keagan vive.
Domenica il fattaccio. In gara, alla Corsa della Pace a Rimini, quando mancano 4 giri alla conclusione della gara, una disperata picchiata in discesa, una frenata inopportuna dell’ammiraglia della Dimension Data, e Keagan si infila con la testa nel vetro posteriore dell’auto. Una potenza pari a un’esplosione. I vetri si infrangono e il collo di Keagan si trova all’interno di una ghigliottina che gli taglia letteralmente la vena giugulare. Immediato l’intervento del suo direttore sportivo e del meccanico che cercano di tamponare la ferita rischiando comunque del proprio in manovre mediche non di loro competenza. L’istinto di sopravvivenza prevale, pochi istanti che salvano la vita ad un ragazzo. Arrivano i sanitari, intervengono con gli strumenti del caso, cala persino l’elicottero del Suem che si rialza poco dopo senza Keagan. Gli viene preferito il trasporto in ambulanza all’ospedale di Rimini dove viene operato d’urgenza. Il ragazzo è vivo, il suo cuore batte, il suo collo è ricucito e così anche vene ed arterie. La prognosi è riservata. E la corsa viene sospesa.
Nel frattempo parte il tam tam di notizie. Chi si trova nelle ammiraglie o magari a bordo strada o all’arrivo in attesa dei corridori per immortalare lo scatto finale. E le chiacchiere si sa, fanno in un attimo il giro del mondo. Specie nell’era di internet e dei social. Il ragazzo è vivo, è sotto intervento ma sui siti, ovviamente non tutti, compaiono i necrologi. Senza la famosa esimente putativa. Senza la verifica di tutte le fonti, senza la certezza di un referto medico, senza aver chiamato le autorità competenti, polizia, carabinieri, direzione medica. Keagan Girdlestone RIP. Non vogliamo pensare al dramma che devono aver vissuto i genitori di Keagan in quegli attimi leggendo le notizie sui siti della morte del figlio in gara. Chi non ha figli non può capire. Non si vuol dar ragione a Umberto Eco, lui si RIP, quando afferma che “con l’avvento dei social si da la parola a tutti i cretini”.
I social sono utili. Ma i social non sono cronaca, non sono giornalismo, non sono verifica delle fonti. Così come è necessario riportare ognuno sul proprio binario. Il direttore sportivo ad imparare le regole di gara, non portare ad esempio il corridore in scia, il corridore deve essere tenuto a conoscere il percorso, deve sapere come si va in bicicletta e quello che si può e si deve fare. Il giornalista deve fare il giornalista, ristabilendo il discrimen tra pubblicista che è colui che non vive di solo giornalismo e può magari fare il panettiere e il giornalista professionista, che ha compiuto il percorso in un esame di Stato ed è tenuto al rispetto della deontologia professionale in quanto iscritto ad un albo professionale. E soprattutto al segreto professionale, tanto quanto i medici, gli avvocati e i preti. Meglio confessionale. Ciclismoweb.net anche questa volta lo ha fatto, ha verificato le fonti prima di scrivere, è andato sul posto, ha sentito Polizia e personale medico. Altri non lo hanno fatto, si sono limitati come dei pappagalli a ripetere quanto letto da casa sui social altrui e questo dovrebbe bastare al lettore per capire l’attendibilità di uno e degli altri.
Ma purtroppo il ciclismo vive sempre più di fotografi/e che pretendono di fare cronaca, blogger che si auto-promuovono allo status di giornalisti, facebukkari che su pagine senza arte nè parte informano, fanno cronaca, danno notizie e informazioni, spesso inopportune, siti gestiti da personale non giornalistico e che non hanno mai scritto una riga di cronaca, mai fatto un giro di nera, mai seguito un omicidio, mai una rapina o intervistato qualche Capo di Stato o partecipato a una conferenza stampa di forze dell’ordine. E di conseguenza non conoscono le dinamiche del mondo della cronaca. In caso di incidente grave si telefona al Pronto Soccorso, ai carabinieri, alla Polizia, alla Polstrada, ai Vigili del Fuoco, magari alla famiglia, si cercano notizie certe, sicure, non il sentito dire della borracciaia o borracciaio di turno che a bordo strada fa i rifornimenti ai corridori in modo del tutto autonomo, per divertimento o per passione.
Una vicenda quasi kafkiana. Il morto non è morto, ma lotta per la vita. Aggrappato ad un filo di vena rimastagli in gola e a un filo di speranza. Il morto vive, trascorre la notte in terapia intensiva dopo momenti davvero duri. Ma esce persino dalla terapia intensiva e viene ricoverato nel reparto di chirurgia cardiovascolare. Non sappiamo come procederà il decorso post operatorio, saranno i bollettini medici, quelle sì fonti ufficiali ad avvisarci delle condizioni del giovane Keagan. Non sappiamo quale sarà il suo percorso di ripresa in bicicletta. Sappiamo solo che la grande famiglia del ciclismo si stringe attorno a questo bel giovanottone sudafricano, dal cognome per noi impronunciabile. 19 anni di esplosione, di muscoli, di specialità a cronometro. Una bella faccia, un sorriso aperto, spalancato alla gioia di vivere. Alla faccia del Rip che qualcuno aveva mandato in rete. W Keagan, giovane lottatore.