Veni, Vidi, Vici. Parola dei Vegni in Israele, nel primo Giro d’Italia che parte da uno stato fuori dall’Europa. “Un evento di portata mondiale. Il ciclismo globalizzato comincia anche da qui. E il Giro d’Italia con partenza da Gerusalemme ora può finalmente dire di diventare maggiorenne. Un pò come aver votato sinora alla Camera da diciottenni ed ora si può votare al Senato avendo compiuto 21 anni”.
Insomma da Gerusalemme a Matusalemme il passo è breve, dal momento che il Giro in Terra Santa compirà 101 anni. E per Mauro Vegni director maximus del Giro d’Italia è la grande occasione per trasformare la corsa rosa in uno degli eventi di portata mondiale.
“Il ciclismo deve utilizzare la parola globalizzazione nel vero senso del termine. Finora l’ha conosciuta, l’ha accarezzata, l’ha sfiorata ma non l’ha conquistata. Pensiamo solo alla Formula Uno o alla Moto Gp o addirittura al basket di NBA che porta alcuni tornei in giro per il mondo. Il ciclismo moderno non può più essere confinato entro un reticolato nazionale”.
Ma il ciclismo non è basket, moto gp, formula uno. Il ciclismo va sulle strade, in mezzo alla gente. Un mondiale nel deserto non è un gran bel vedere.
“Sono scelte. E spesso vanno a braccio con l’economia, la finanza. E’ stato portato anche un mondiale in Canada o in Australia e gente ce n’era una infinità. Certamente il vero ciclismo, quello che noi conosciamo è di matrice europea ma dobbiamo cambiare passo, soprattutto in Italia. Dobbiamo imparare a vendere il prodotto ciclismo”.
E in Israele si vende bene ?
“Un paese magnifico, di grande sviluppo economico (il tasso di disoccupazione è al 3% n.d.r.). Con un mercato finanziario in grande evoluzione. E che vuole investire molto sullo sport che porta immagine, dialogo, un ottimo veicolo promozionale per questi paesi emergenti. Siamo partiti anche da Dublino e dall’Olanda ma li eravamo sempre in Europa, e nonostante le difficoltà logistiche la logica è sempre più o meno la stessa, europea. Israele ha molto da offrire al ciclismo. Paesaggi spettacolari, ottime strade sulle quali allenarsi, piste ciclabili, fascino, storia, cultura. A Tel Aviv è stato costruito in pochissimo tempo un velodromo di livello mondiale. A breve verrà inaugurato. Addirittura hanno messo in piedi un team professionale israeliano. Con la voglia di salire di livello. Noi abbiamo aperto la strada e ne dobbiamo essere orgogliosi”.
Il Giro d’Italia insomma non deve essere più il giro del campanile?
“Esatto è questo il concetto che dobbiamo rielaborare e far emergere in un nuovo con testo globale. Certamente senza cambiare le nostre tradizioni, la nostra cultura. L’Italia è un paese che ha tutto dal punto di vista turistico, storico, archeologico, culturale, enogastronomico. Ma dobbiamo ricreare appeal”.
C’è necessità di uno scatto in avanti?
“Dobbiamo avere un nuovo approccio con il ciclismo. Più professionale. Molti paesi europei ci hanno guardato, ci hanno studiato ma ci hanno anche superato”.
Tutto bello, tutto buono, ma c’è un problema. I corridori italiani. Stiamo perdendo il patrimonio dei corridori. Ne abbiamo solo 45 al via. E di questi, la gran parte non possono fare la differenza nemmeno al Giro d’Italia.
“Purtroppo si è vero. Il sistema deve cambiare. Dobbiamo ripartire dalle categorie inferiori rispetto al professionismo. In Italia abbiamo solo quattro professional ormai. E il divario con il mondo delle World Tour è sempre più abissale. Inutile se non si trova una sistemazione nel mondo dei dilettanti. Perché è da li che peschiamo i corridori che poi approdano al mondo del professionismo. Una anomalia solo italiana in quanto nel mondo esistono ormai tutte Continental. Non possiamo continuare a far fare ai nostri corridori le corse del campanile. 30 corse sempre nello stesso posto, sempre sulle stesse salite. Corse regionali che non fanno crescere i corridori. I ragazzi si confrontano sempre tra loro e non hanno il confronto all’estero con gli stranieri. Sono passati i tempi di quando l’Italia dominava il mondo delle due ruote. I ragazzi devono andare ogni tanto anche oltre confine per vedere come ormai si corre all’estero, quanto sia diventato il ciclismo una vera e propria professione, di quanto si debba essere professionali adesso. Certamente per noi italiani era meglio quando il gruppo al Giro d’Italia partiva con 130 italiani su 150. Ma adesso non è più così. Certamente ci vuole un giusto equilibrio. Ma ci vogliono anche corridori e soprattutto ci vuole qualità. E nel momento la qualità ce la da solo Vincenzo Nibali. Giro, Tour, classiche. Dietro di lui purtroppo solo comparse”.