Ancora uno. Un altro nome si è aggiunto alla lunga lista dei corridori morti sulla strada, è quello del giovane 17enne Matteo Lorenzi.
Matteo, segue a volti noti come quelli di Michele Scarponi e Davide Rebellin ma anche e soprattutto ad una litania di nomi sconosciuti ai più che, però, hanno lasciato un vuoto incolmabile nel cuore delle proprie famiglie e delle squadre di appartenenza.
Ogni volta che assistiamo ad un incidente mortale in allenamento ci ripetiamo che questo sarà l’ultimo, al pari di quanto accade per i femminicidi e per le morti bianche sul lavoro. Eppure, il giorno dopo, si riparte come se nulla fosse accaduto, come se si trattasse di una cosa che non ci riguarda, che non ci potrà mai scalfire.
E’ arrivato, invece, il momento di dire basta e di provare a cambiare seriamente le cose. Un sistema che uccide ragazzi e ragazze che pedalano inseguendo i propri sogni è un sistema malato, un sistema assassino e pericoloso. Serve una autentica rivoluzione, serve la volontà di cambiare e la forza di credere che ciò possa accadere.
Se non ci possiamo affidare ai dirigenti e ai politici allora siano gli atleti e le loro famiglie a ribellarsi e a chiedere con forza di cambiare strada. Se per farsi ascoltare è necessario fermarsi allora lo si faccia subito e in maniera, decisa, totale irremovibile perchè anche solo la vita di uno di questi ragazzi vale molto di più di tutto il resto a cui siamo purtroppo abituati e assuefatti.
Ecco perchè un minuto di silenzio non basta. Non basta nemmeno un’ora o un giorno. Serve fermarsi fino a quando qualcosa non iniziera a cambiare per davvero. Dovrebbe fermarsi non solo la rappresentativa del Trentino o il ciclismo di quella provincia ma anche il resto d’Italia compreso il Giro con tutto il carrozzone della corsa rosa.