Mancano esattamente 347 giorni all’apertura dei Giochi Olimpici di Parigi 2024 e l’Italia esce dai Campionati del Mondo di Glasgow con le ossa rotte, tenuta a galla solo da un super-Filippo Ganna con due argenti (crono e quartetto) e un oro (inseguimento individuale), seppur quest’ultimo conquistato in una disciplina che non fa parte del programma a cinque cerchi.
IL TESORETTO E IL TRACOLLO – Tre anni fa, all’uscita dalla pandemia da Covid-19, la nuova dirigenza federale con alla guida il Presidente Cordiano Dagnoni, steso per terra intento a posare ai piedi dei pistard azzurri, che si affrettava a dare il ben servito a Davide Cassani prima del rientro da Tokyo, partiva con un tesoretto di 6 milioni di euro (risparmiati nel 2020 per le trasferte non effettuate sotto la dirigenza Di Rocco) e ai mondiali su strada aveva ottenuto due ori (Ganna a cronometro e Balsamo in linea) e un bronzo (Team Relay). In più, dopo l’oro olimpico nell’inseguimento a squadre, chiudeva terza nel medagliere del mondiale su pista di Roubaix con ben 4 ori (quartetto maschile, Fidanza nello scratch, Paternoster e Viviani nell’eliminazione), tre argenti e tre bronzi.
Sarebbe bastato migliorare il settore velocità e l’Italia avrebbe potuto ambire addirittura al primo posto nel medagliere: la pensavano così i più ottimisti.
E invece, appena due anni più tardi, grazie all’ottimo lavoro di smantellamento svolto sotto la dirigenza federale del Presidente Cordiano Dagnoni e del Team Manager Roberto Amadio, con tutta la schiera di collaboratori più o meno ufficiali e addetti ai vari servizi più o meno pagati, al super-mondiale che si è disputato nell’anno pre-olimpico ecco il tracollo: finiamo addirittura tredicesimi nel medagliere, senza un riferimento per la prova su strada, dove la generosità di Alberto Bettiol non può bastare a contrastare i fenomeni stranieri, e con tanti punti di domanda sul settore pista. Non pervenute MTB (Braidot settimo) e BMX (Sciortino fuori ai quarti).
In tre anni è stato azzerato, al netto di assenze, sfortune e rimpianti, il settore femminile. Un fiore all’occhiello per tante stagioni sotto la guida di Edoardo Salvoldi, rimasto addirittura a secco di medaglie a Glasgow.
Mai come oggi siamo Ganna-dipendenti, incrociando le dita che sul cammino verso Parigi non succeda nulla al fuoriclasse verbanese, al momento potrebbe essere solo la cronometro la nostra salvezza. Nel quartetto, invece, come per tutte le altre discipline su pista, dopo Glasgow ci sarà qualcosa da rivedere, sempre che il tempo a disposizione lo consenta e che la crescita delle altre nazioni si arresti.
IL GRUPPO, LA SFORTUNA E LA PROGRAMMAZIONE – La “forza del gruppo” azzurro tanto sbandierata da diventare quasi una ossessione nella narrazione federale non si è vista a Glasgow mentre chi cerca nella sfortuna la scusa alle delusioni iridate dovrebbe essere coerente nel definire “fortunosi”anche i successi del passato.
Purtroppo la cabala centra ben poco con il destino di una nazionale: per guidare un movimento servono serietà, professionalità e lungimiranza. I risultati dei singoli atleti, poi, possono essere più o meno soddisfacienti ma il tracollo azzurro non può certo essere imputato alle mancanze di questo o quel corridore. Per salire verso l’Olimpo la strada è lunga e impegnativa, lo sanno atleti del calibro di Elia Viviani, ma una cosa è certa: non ci si arriva per sbaglio o fatalità. Lo dimostrano i successi collezionati da Gran Bretagna (prima nel medagliere), Germania, Francia e, ancora, Nuova Zelanda (ottava tra le nazioni) e Danimarca (undicesima) che fanno del reclutamento di base curato direttamente dalla Federazione la propria forza. Olanda e Belgio possono essere considerate due realtà a parte anche se, anche in questo caso, la presenza di autentici fenomeni delle due ruote non è casuale.
LE ALTRE CATEGORIE – Non andranno alle Olimpiadi ma i giovani potrebbero rappresentare il futuro del ciclismo azzurro. Di certo i loro risultati sono il termometro per misurare la competitività del movimento nelle varie categorie, inutile dire che anche in questo caso la temperatura non è delle migliori.
Qualcosa di buono si è visto tra gli juniores (quantomeno meglio del 2022) ma il quarto posto di Juan David Sierra, così come la medaglia di legno di Federica Venturelli nella prova in linea (bene, invece, a cronometro) sono poca cosa. La categoria Under 23, dove solo il ricorso al professionista Lorenzo Milesi ci ha salvato dallo zero in condotta, è sempre più simile ad un “Mondiale Professionisti B”: vincono e sono protagonisti atleti che corrono nel World Tour ma che durante la stagione vengono impegnati in gare di seconda fascia o faticano a vedere il traguardo mentre i loro pari-età (vedi il 19enne Joshua Tarling) già lottano e conquistano medaglie nelle prove iridate riservate ai professionisti veri.
Gli juniores Tommaso Frizzarin (bronzo) nella BMX ed Elian Paccagnella (argento) nella MTB, invece, hanno dimostrato di essere due belle realtà su cui si potrebbe lavorare in prospettiva del dopo-Parigi.
IL BIVIO A 347 GIORNI… – Ormai la strada verso le prossime Olimpiadi è già segnata dal countdown che continua a scorrere inesorabilmente. Difficile inventare qualcosa che possa consentire all’Italia di recuperare il tempo perso, a questo punto le strade tra cui scegliere restano solo due: continuare a giocare sulla pelle del movimento, dispensando sorrisi, concedendo favori, dando pacche sulle spalle e producendo fumo a volontà fino allo scadere del conto alla rovescia, quando bisognerà inevitabilmente fare i conti con la realtà sperando fino all’ultimo in un miracolo, oppure, analizzare seriamente la situazione, invertire la rotta, ripartire dalle poche certezze a disposizione e riprendere in mano una programmazione seria ed efficace. Per fare questo, però, servirebbero serietà, capacità e professionalità: doti che scarseggiano tra le fila di una Federazione che aveva tra le mani la fortuna di poter affrontare ben due Olimpiadi in un solo quadriennio e che, invece, in un solo mandato sembra essere riuscita ad azzerare ciò che restava del ciclismo italiano.