Cambiare il passato è impossibile, guardare al futuro, credere nel domani, è la linfa che conferisce forza e alimenta la speranza. Restituisce sogni, pone obiettivi. La vita di Nicola Venchiarutti è cambiata sette mesi fa. Trofeo Comune di Castelfidardo, nelle Marche, ultimo chilometro: in gruppo si viaggia a 70 km all’ora, il friulano della Work Service esce dalla sede stradale, salendo sul marciapiede dove si trovava Stefano Martolini, direttore sportivo della Viris Vigevano. L’impatto è devastante, per il tecnico lombardo non c’è niente da fare. Per Venchiarutti inizia una pagina dolorosa e complessa, ma il domani è lì, ad attenderlo: potrebbe tornare in gruppo tra qualche mese. Lo farà con una diversa prospettiva sulla vita, lo farà con la passione di sempre e il desiderio di dare il meglio, anche per ringraziare chi gli ha permesso di tornare in sella.
Innanzitutto, Nicola, come stai.
“Adesso bene, sto iniziando a riprendere a pedalare abbastanza seriamente”.
Quando pensi di ritornare a gareggiare?
“Ancora di preciso non lo so. Se non a marzo, spero ad aprile: non ho molta forza nella gamba sinistra, non riuscirei a sostenere lo sforzo di una gara. Mi auguro, però, in due, tre mesi almeno di riuscire a partire”.
Ripensando a Castelfidardo, cosa provi?
“Il dispiacere, prima di tutto, per Stefano, una persona che conoscevo bene nell’ambiente del ciclismo, e il suo ricordo. E poi il dolore che ho provato, anche la paura: all’inizio ero paralizzato”.
E sulla dinamica dell’incidente?
“Ripensandoci, non sono riuscito a fare nient’altro: ero all’esterno, c’è stata una sbandata e me lo sono trovato davanti. Tornando indietro, non vedo altre soluzioni: è una tragedia che non doveva succedere, però, purtroppo, è accaduta”.
La riabilitazione sta andando nel modo giusto.
“Fortunatamente sì, sta procedendo bene. All’ospedale Gervasutta di Udine ho finito, continuano a seguirmi gli stessi medici di quella struttura: lavoro in una palestra vicino a casa e in bici. E poi c’è il mio preparatore, Andrea Fusaz: anche lui mi ha seguito molto e continua a farlo”.
E la Work Service?
“La mia squadra mi è sempre stata vicino, mi ha detto che c’è lo spazio per continuare a correre con loro: anche da questo punto di vista, grazie all’appoggio del team, mi sono sentito sicuro”.
Hai mai dubitato di voler tornare a correre e, visto che hai deciso di farlo, quali saranno le tue motivazioni?
“La voglia di tornare a correre c’è sempre stata, anche appena successa la tragedia; c’era la preoccupazione di non riuscirci fisicamente. Il ciclismo è la mia passione, e poi vorrei ripagare le persone che mi sono state vicino: è grazie a loro che tornerò a correre”.
Come te la immagini la prima gara?
“Sarà molto emozionante, particolare. Dopo tanto tempo, dopo quello che è successo, probabilmente all’inizio avrò un po’ di paura a rimanere all’interno del gruppo: credo sia normale. Penso e spero, però, che dopo qualche chilometro tornerà tutto normale, che ritorneranno le sensazioni che ho sempre provato”.
Quello che ti è accaduto cambia la prospettiva sulla vita.
“Sì, sono esperienze che ti toccano fino in fondo. Vedo la vita in modo diverso, soprattutto frequentando gli ospedali e facendo riabilitazione con persone che, purtroppo, stanno peggio di me e che magari non riusciranno mai a camminare nuovamente. Adesso capisco quali sono le cose importanti. Vorrei dire un’ultima cosa”.
Prego.
“Voglio ringraziare tutte le persone che mi sono state vicino, anche quelle che, semplicemente, mi hanno chiesto come stavo con una telefonata o un messaggio: sono stati uno stimolo in più, il percorso grazie a loro è stato meno duro”.