Dalla “Classica di Primavera” alla “Classica delle foglie morte” in un amen. In quindici giorni giorni si sono bruciati cinque mesi di gare, di corse monumento, di pioggia, di fango, di timido sole che comincia ad assaporare il solstizio di primavera alle prime brume d’autunno. Una stagione nata già adulta. Ma almeno il ciclismo è l’unico sport ripartito a pieno titolo.
Si dirà: ma non c’è il pubblico. Ma che ciclismo è questo? Il bagno di folla che segue le corse è neutralizzato già dal chilometro zero. Finora più che bagno di folla è bagno di sudore. Saligari, detto il Commissario, parla e commenta dalla moto: “Il termometro segna 31 gradi”.
Una frescura rispetto all’inferno dantesco delle Strade Bianche dove si viaggiava sulla media di 41 gradi. In corsa la media delle borracce, alla classica degli sterrati, consumata dai corridori si aggirava sulle trenta, tra bevute, consumate e gettate su testa e collo. Ma almeno si corre. Dalle Strade Bianche al Giro di Lombardia tutto il ciclismo si è bevuto in un sorso, con l’invidia degli altri sport che ancora stanno agli allenamenti individuali.
Il pubblico. Un capitolo ingombrante. Distanziamento, mascherina, vietati gli assembramenti, doppie transenne per tenere lontana la gente. Chiusura addirittura delle salite. Dal Ghisallo al Muro di Sormano. Le salite dove lo spettacolo è più intenso. Chiuse… ma è solo scritto sulla carta. Poi guardi le immagini della tv ed è ugualmente pieno di gente.
Come si possono bloccare le persone? Impossibile contenere il fiume in piena del tifo, impossibile arginare le salite a piedi attraverso il bosco, o in bicicletta, o impedire alla gente che li ci vive di uscire fuori di casa. Il ciclismo non si corre in uno stadio chiuso. Il ciclismo lo stadio lo fa da sè, sulle salite, sugli strappi, sulle colline, sui lunghi tratti di pianura.
Il ciclismo è libertà e lo stanno costringendo a vivere di contraddizioni, dalla mascherina sul palco, al foglio firma o alla presentazione dei team. Ma se applichi il distanziamento sul palco la mascherina non serve. Se costringi i corridori a vivere in una “bolla” e poi si allenano sulle strade aperte e magari si fermano a prendere un caffè al bar, la bolla che fine fa? Scoppia?
Le contraddizioni, dicevamo, che ha creato la pandemia. Ma intanto i corridori volano, scalano Ghisallo, Cipressa, alzano la polvere degli sterrati. Il ciclismo va a cronometro, va in gruppo e rianima lo sport messo in ginocchio da un virus bastardo che ha ucciso migliaia di persone. E cominci ad apprezzare le imprese dei corridori che fino allo scorso anno erano finite nel frullatore di una miriade di corse.
La selezione fa bene a questo sport, è aumentata la qualità, è migliorata l’organizzazione anche degli eventi minori. Si guarda con maggiore attenzione ai particolari. Mascherine o no, questo virus ha fatto ripensare pure al ciclismo la propria formula. Nel clima ferragostano, fatto di grigliate e grandi bevute, la gente si è assiepata sui campi del Muro di Sormano, perché il ciclismo è show, spettacolo, attesa. E se vince chi su due ruote regala spettacolo, tanto meglio.