Tre tapponi di montagna dei grandi tour, Tour de France, Vuelta di Spagna e Giro d’Italia in un giorno solo? Fatto. Al Giro della Valle d’Aosta, nella frazione svizzera, 129 chilometri di sola salita.
Su 129 chilometri forse dieci saranno stati di pianirea o di tratti di trasferimento. Pronti via bici all’insù sino a toccare il cielo. Manco il tempo di ragionare sul tracciato, che i corridori hanno iniziato letteralmente a toccare il cielo con un dito. Si dice che bisogna far emergere gli scalatori. Certamente. Ma nel ciclismo, non nell’alpinismo estremo con uncini, ramponi, piccozza e in cordata.
Traffico aperto a Martigny, sulla statale del Gran San Bernardo, ammiraglie al seguito di corridori a garantire la loro incolumità: non una staffetta, non un poliziotto, non un uomo con la bandierina.
Un Gpm a 1700 metri dove, appena cinquanta metri prima iniziava il tratturo di montagna, chiamasi “sterrato” nel ciclismo, in discesa, per oltre due chilometri. E a metà della discesa dello sterrato nessuna segnalazione, corridori in testa alla corsa che prendono la strada sbagliata seguiti dalle ammiraglie. Possono ringraziare i corridori di aver fatto la tappa svizzera del valle d’Aosta.
Hanno provato le emozioni che nemmeno Contador, Froome, Coppi e Bartali o Nibali hanno provato in un solo giorno. All’arrivo, ovviamente in salita per non sbagliare, a 1500 metri, i direttori sportivi a ciondolare la testa. “No non si puo’ così” afferma Andrea Mariani del Velo Racing Palazzago. “Poi i giudici danno le penalizzazioni per scie prolungate quando siamo noi a dover tutelare l’incolumità dei ragazzi in gara”.
Ma a essere i più arrabbiati sono i corridori stessi, anche quelli che stanno facendo classifica e sono arrivati davanti: “Siamo carne da macello” afferma Filippo Conca della Biesse Carrera, uno che di certo non ha problemi ad esporsi. “Ma in generale parlo, non solo qui al Valle d’Aosta dove ci sono stati problemi su problemi, sbagli di percorso e ammetto che la colpa è anche un po’ nostra se magari non prestiamo attenzione a tutto. Ma giudici, motostaffette, direzioni di corsa. Chiedono a noi nelle gare di comportarci bene, ma li avete visti loro? Non sempre hanno comportamenti corretti. Noi veramente ci dobbiamo far andare sempre bene tutto? Eh no, abbiamo una dignità e due gambe per far andare avanti la bicicletta ma una testa ce l’abbiamo. E adesso è arrivato il momento di chiedere sicurezza, tutela nei nostri confronti e serietà da parte di tutti. Se vogliamo far crescere questo ciclismo”.
Senza peli sulla lingua anche Christian Scaroni uno degli atleti più promettenti. Ha scelto la Francia e una continental per fare esperienza: “Un disastro, in questo Valle d’Aosta poi non ne parliamo, mi trattengo. Io ho portato la bici e me stesso sano e salvo al traguardo e tanto mi basta. Ma l’Italia che è la patria del ciclismo deve tornare ad essere professionale. Puntare di più sulla qualità. Meglio qualche gara in meno ma più curata che essere presi così”.
Anche il colombiano Nacho Montoya della Beltrami TSA, già da un paio di anni in Italia ammette: “Siamo corridori , siamo persone non una bici solo e due gambe. Devo essere sincero, in Colombia le corse cominciano ad essere organizzate bene, in Italia eravate il massimo per il ciclismo ma adesso sulla sicurezza comincio ad avere qualche perplessità”.
Anche Alessandro Monaco della Casillo Maserati parla di migliorie sulla sicurezza da introdurre. Lui addirittura è laureando in legge e quindi si accorge quali sarebbero le problematiche da risolvere e dove migliorare il ciclismo italiano: “Su tappe come quella di oggi, nonostante io punti alla classifica ci sarebbe da discutere a lungo. Sulla durezza, sulle troppe salite… Ma soprattutto sul traffico aperto. Non si possono lasciare i corridori in balia delle auto che non ti rispettano. E’ andata bene. Nel ciclismo italiano per carità i corridori sono coccolati, serviti e riveriti di tutto, gli stranieri sono più indipendenti. Ma sulla sicurezza in gara dobbiamo fare tutti insieme una riflessione”.
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