Ora è ufficiale: in Italia, nel Paese che ha svenduto anche l’ultima licenza World Tour che gli era rimasta, non si paga per diventare professionisti. Basta con le illazioni, basta con le accuse, basta con i sospetti. L’inchiesta nata dopo le rivelazioni pubblicate sulle pagine di ciclismoweb.net nell’ormai lontano dicembre 2013 (clicca qui per rileggere l’intervista), a cui si era accodata una lunga serie di racconti e testimonianze, raccolti anche dalle principali testate nazionali, è finita nel nulla.
SEMPLICE OMONIMIA – Ieri, infatti, la Commissione Disciplinare della FCI, presieduta da Salvatore Minardi ha fatto luce e ha dimostrato di aver compreso tutto andando oltre ogni più rosea aspettativa: Angelo Citracca, Bruno Reverberi e Gianni Savio, i team manager del ciclismo professionistico, tutti assolti. Nessun corridore italiano ha mai versato o fatto versare dei soldi ad alcun team professionistico italiano per avere la possibilità di gareggiare tra i professionisti. Discorso chiuso.
Il presidente Minardi potrà aggiungere la storia che i bambini di legno si trasformano, come il buon Pinocchio, in autentiche promesse delle due ruote quando stenderà le motivazioni così almeno la sentenza sarà davvero completa. E se da oggi in poi sulle maglie e sui mezzi di qualche squadra Professional vedrete comparire uno sponsor il cui nome è uguale al cognome di un giovane corridore passato professionista senza aver mai raccolto troppi risultati, sarà un caso di semplice omonimia.
GIUSTIZIA – Aldilà delle dichiarazioni trionfali di chi è stato assolto e oggi può tirare un sospiro di sollievo, in attesa di leggere le motivazioni della sentenza, viene da chiedersi che giustizia sia davvero questa. A quale nuova pantomima stiamo assistendo?
Si può discutere sul momento di crisi economica che attanaglia il Paese e tutti gli sport. Sul fatto che condurre un team professionistico comporti sempre maggiori responsabilità e sempre minori benefici. Sul fatto che i giovani atleti debbano saper investire sul proprio futuro o sul parallellismo con altre discipline, come ad esempio l’automobilismo, dove è normale che un pilota si sposti da una scuderia ad un’altra portando con sè il proprio sponsor personale.
Si può anche pensare che dei navigati manager del ciclismo tricolore, che vantano di essere degli autentici talent scout, abbiano stranamente preso delle cantonate pazzesche nelle ultime stagioni investendo il proprio tempo su atleti che faticavano a vedere il traguardo tra i dilettanti e, come avrebbe potuto prevedere anche l’ultimo dei tifosi di ciclismo, hanno fatto altrettanto anche tra i professionisti.
Si può anche aggiungere che questa indagine, costruita così dalla Procura Federale, senza che vi fossero prove oggettive di trasferimenti economici sospetti, non avesse altro epilogo possibile rispetto a quello deciso dalla Commissione Disciplinare della FCI.
SOLDI… DA RESTITUIRE – Ma, per favore, almeno non veniteci a raccontare che il mondo si è capovolto e ha cambiato forma. Altrimenti coloro che hanno pagato e hanno corso in questi anni, potrebbero davvero chiedere la restituzione di tutto ciò che hanno versato: in fondo, per correre non serviva pagare, parola della Commissione Disciplinare della FCI.
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