21 tappe attraverso l’Europa. 23 giorni di gara, ecco l’album con i 21 protagonisti, nel bene e nel male, del Giro d’Italia 2016: una corsa che, ancora una volta, ha visto vincere il pubblico e la passione per le due ruote, ha regalato emozioni indimenticabili e qualche delusione importante. Questo è il Giro d’Italia, questo è il ciclismo: non un gioco, ma uno sport vero…
VINCENZO NIBALI:
Arriva al Giro da favorito e sa che non può sbagliare. Ma non è quello dei giorni migliori. Non gli riesce quasi nulla, la pressione diventa un peso insopportabile e il nervosismo cresce. Perde secondi, minuti e posizioni in classifica. Quando sembra finito e sul punto di ritirarsi, ricorda a tutti che anche lui è umano e le cose, non sempre, vanno come vorremmo.
Sarà anche umano, ma è soprattutto lo Squalo.
Non molla e lotta, reagisce e risorge, attacca e morde.
Spiana il Colle dell’Agnello e trionfa a Risoul. Sente l’odore del sangue, o quello dell’impresa, e allora spinge a tutta, stacca gli avversari nella tappa di Sant’Anna di Vinadio e conquista la maglia rosa.
Di testa e di gambe, d’esperienza e di forza, di cuore e d’orgoglio.
Il crollo e la frustrazione, la speranza e la risalita, la lotta e l’impresa.
È l’essenza del ciclismo.
Immenso.
ESTEBAN CHAVES:
Colombiano, piccolo e leggero, pimpante, scalatore e arrampicatore. La montagna è il suo terreno e, quando la strada si impenna, lui vola.
Corre un grande Giro e per poco non lo vince, stroncato solo da un grande Nibali.
La famiglia è la sua forza, le banane la sua benzina.
Sorride e scherza, sempre, soprattutto nella sconfitta.
Dice che ‘la vita è un’altra cosa, questa è solo una corsa in bici’ e conquista tutti.
Non puoi non innamorartene.
Il colibrì dal cuore grande e dalla splendida anima.
ALEJANDRO VALVERDE:
È all’esordio al Giro, nonostante i suoi 36 anni.
Non partecipa per ammirare le meraviglie nostrane, ma per lasciare il segno.
E mantiene le promessa.
In alcune tappe soffre e perde anche minuti.
Vince ad Andalo e si difende nelle ultime giornate.
Alla fine è terzo in classifica ed aggiunge al palmares un altro podio in un grande Giro.
Corridore completo, campione vero.
STEVEN KRUIJSWIJK:
Complicato da scrivere, impossibile da pronunciare.
Ma, ancor di più, snobbato e sottovalutato.
Non è il migliore, ma certamente il più forte.
Perfetto fino a quella maledetta discesa del Colle dell’Agnello, dove commette l’unico piccolo, immenso errore.
Scivola, cade e si infrange contro un muro di neve, che manda in frantumi sogni e ambizioni, bici e costole.
Stringe i denti e porta il proprio pettorale fino al traguardo di Torino.
Quarto con onore.
BOB JUNGELS:
Giovane, promettente, e con un fisico da granatiere.
Ma si difende alla grande in salita.
Ad un tratto conquista pure la rosa.
Corre uno splendido Giro e vince la maglia bianca, come leader dei giovani.
Sesto nella generale.
Il futuro è suo.
MICHELE SCARPONI:
Scorta Nibali dal primo all’ultimo giorno.
Lo difende e lo blinda nei momenti difficili, ma soprattutto dispensa allegria e serenità, la cosa che serve di più a Vincenzo.
Se fuori dalla corsa è amico, confidente e mattatore, in gara è gregario e scudiero, apripista e spaccamontagne.
Tiene sempre viva la speranza e, da grande scalatore, fa saltare il banco sulle grandi salite.
Metà Giro è suo.
Necessario, indispensabile, fondamentale.
L’arcangelo Michele.
DIEGO ULISSI:
Si dice sia uomo da classiche.
Perciò al Giro non pensa alla generale, ma cerca il successo in una tappa.
E siccome chi cerca trova, lui porta a casa non una, ma due tappe, Praia a mare e Andalo.
Stare in gruppo, solo per far numero, non gli piace proprio, scappa appena può e ci prova sempre.
Uno di quei corridori che smuovono e divertono, animano e incendiano.
Ma, soprattutto, vincono.
Nelle grandi classiche non si può più nascondere, più avanti potrà puntare anche alla generale nei grandi Giri.
L’ora dell’Ulissi.
GIANLUCA BRAMBILLA:
Scrive alcune delle pagine più belle di questo Giro.
Ad Arezzo arriva da solo al grido di ‘Awanti, awanti!’, saluto che usa con i suoi amici, e conquista la maglia rosa, che mantiene per un solo secondo nella crono del Chianti.
Un paio di giorni dopo, a Sestola, ci regala un capolavoro.
Cede, si stacca e perde la maglia.
Ma rientra con rabbia, si mette a tirare per il compagno Jungels e gli consegna la maglia di leader.
Più avanti ci riprova e favorisce la vittoria di un altro compagno, stavolta Trentin, a Pinerolo.
Talentuoso e intelligente, umile e generoso, forte e valoroso.
Awanti così, Brambi.
DAMIANO CUNEGO:
Dopo anni di triste anonimato, sembra rinato alla Nippo Vini Fantini.
È in forma e vuole prendersi una tappa.
Non ci riuscirà, ma lotta per la maglia blu, quella del leader degli scalatori.
La conquista subito e la difende ogni giorno, su montagne e salitelle, cavalcavia e strappetti.
Entra in tutte le fughe possibili per raccimolare punti preziosi.
Ma forse si spende troppo, non può difendersi da tutti e alla fine crolla, perdendo la maglia nell’ultima tappa.
Tatticamente discutibile, ma gran lottatore, e tanta, forse troppa, voglia di tornare protagonista sulle strade del Giro.
Per metà ci riesce ed è bello vederlo di nuovo lì.
La resurrezione del Piccolo Principe.
MIKEL LANDA:
Senza dubbio uno dei favoriti.
Al Trentino, quando Nibali era piantato, lui volava e metteva paura.
Qui non riesce neppure ad entrare nel vivo della corsa, costretto al ritiro, da una gastroenterite, durante la decima tappa.
Fantasma.
MIKEL NIEVE:
È a disposizione dell’altro Mikel, Landa.
Ma quando il capitano abbandona la corsa, ha carta bianca.
E allora Nieve va, vince a Cividale del Friuli e conquista la maglia di miglior scalatore nell’ultima tappa.
Con quel cognome che ricorda le alte vette e le strade da arrampicatore, non può far altro che consacrarsi sulle montagne.
Nomen Omen.
MARCEL KITTEL:
Pronti, via e vince le prime due volate disputate in Olanda.
Bello e dalla faccia pulita, imponente e imbattibile, micidiale.
Arriva in Italia con la maglia rosa sulle spalle, ma si ritira subito, per pensare al Tour.
Il Giro è roba da duri e lui, duro, non lo è.
Chi l’ha visto?
ANDRÈ GREIPEL:
Altro velocista, altro tedesco, altro turista per caso.
Si aggiudica tre volate, dopo il ritiro di Kittel, ed abbandona la corsa pure lui.
È il gorilla, ma un vero gorilla lotta fino all’ultimo e non molla mai.
Lui visita l’Olanda, il Sud Italia e torna a casa.
Lo apprezzi in volata, ma non te ne innamorerai mai, perchè il ciclismo è altro.
Turista per caso
TOM DOMOULIN:
Non è tedesco e neppure velocista, ma l’epilogo è lo stesso.
Protagonista assoluto nella prima parte del Giro, in cui indossa la rosa per sei giorni, si ritira nel corso dell’undicesima tappa.
Poi, qualche giorno dopo, è già a correre sulle strade d’Europa per preparare il Tour.
Questo Giro non è un albergo.
RIGOBERTO URAN:
Parte come outsider.
Parte e, in realtà, arriva pure.
Ma non lo si vede mai.
Nella tappa decisiva capisce che il connazionale Chaves, in rosa, è in crisi.
Lo raggiunge, si mette davanti e tira, ma inutilmente.
La solidarietà, la generosità ed il cuore dei colombiani sono cose note, che inteneriscono e commuovono.
E Ciccio Rigo ci regala un’altra spendida pagina di sport e di grande ciclismo.
Per il resto presenza impalpabile.
DOMENICO POZZOVIVO:
Piccolo e scattante, leggero e pungente.
Questo è il Pozzo che conosciamo.
Perchè al Giro è tutt’altro.
Pesante e macchinoso, arrendevole e inconcludente.
La montagna è casa sua ed è proprio lì che si trova sempre a disagio.
Scontenta, in primis se stesso.
Una delle delusioni più grandi.
DAVIDE FORMOLO:
È il nuovo che avanza, ha già ben figurato al Giro e ci arriva con grandi aspettative.
Tutte disattese.
Non lo si vede mai, come il compagno Uran.
Ed è un vero peccato.
Ridateci Formolino.
FILIPPO POZZATO:
Sempre più personaggio e sempre meno corridore.
Scherza in coda al gruppo, nel dopocorsa e durante le interviste, indossa magliette evocative (definiamole così) e twitta.
Se non altro, lui si diverte sempre, quello sì.
Si arrabbia, e fa bene, se lo accusi di preferire la bella vita a quella dura, faticosa e piena di sacrifici del ciclista.
Ma quando serve, e quando conta, non c’è mai.
In una tappa si ritrova per caso in testa a poche centinaia di metri dall’arrivo.
Si sorprende anche lui, ma ci prova e, neanche a dirlo, si fa riprendere e superare.
Talento sprecato e buttato, a tratti irritante, svilente.
V.I.P.
MAURO VEGNI:
Regista e sceneggiatore, direttore d’orchestra e disegnatore.
Spesso criticato e contestato.
Pensare, ideare, creare e gestire un Giro d’Italia non è per niente facile.
Lui lo fa alla grande.
E ci regala uno splendido Giro.
Uno, dieci, cento, mille Vegni.
IL POPOLO DEL CICLISMO:
Il Giro d’Italia affascina e attrae, chiunque ed ovunque.
È magia e poesia, è sport e vita.
Forse, semplicemente, la bici è di tutti e per tutti.
E allora la gente se ne innamora.
Alle partenze e agli arrivi è sempre una festa, sulle strade, e specialmente sulle salite, un trionfo, un’esplosione di gioia e di vero, grande sport.
Bandiere e striscioni, trombette e qualsiasi oggetto capace di diventare musica, ritmo e creare rumore, travestimenti improbabili, urla e incitamenti, colore e calore.
Poi certo, ogni tanto si palesa anche qualche imbecille in cerca di 20 secondi di gloria, ma è pur sempre una minuscola minoranza.
Le ali di folla che si aprono sulle grandi salite al passaggio dei corridori, lasciando intravedere appena la strada, è qualcosa di inspiegabile, di sublime, di divino, è godimento puro.
Niente da fare.
Il ciclismo è lo sport più bello del mondo ed il suo popolo, la sua gente, ne è sempre all’altezza, lo esalta e lo consacra.
Più bella cosa non c’è.
GIRO D’ITALIA 2016:
Già detto, è stato un grande Giro.
Si parte dall’Olanda.
Una scelta che non piace a tutti.
Ma il Giro è un’eccellenza e le eccellenze si esportano, con successo.
All’estero è sempre una festa, l’Olanda impazzisce e ringrazia.
Poi si percorre l’Italia da Sud a Nord, ma qui è più facile, siamo nel paese più bello del mondo.
Un Giro sorprendente ed appassionante, soprattutto nella terza settimana, perchè le Dolomiti, e le altre grandi montagne, non deludono mai.
Vette che sfiorano il cielo e in quell’istante, se sei all’altezza, voli.
Oppure rimbalzi e vieni respinto, ti incurvi e ti pianti.
Nibali ha messo le ali e via, Chaves anche, seppur sconfitto.
E la cosa più bella è roba loro.
Vincenzo giunge al traguardo e conquista il Giro, Esteban perde ed è secondo.
Il siciliano si imbatte nei genitori del colombiano e si chiudono in un lungo abbraccio.
Un abbraccio lungo e interminabile, che significa tanto, che vuol dire tutto.
È tutto e non serve aggiungere altro.
Una delle immagini più belle di sempre.
Il sipario si chiude così.
E se questa è l’edizione numero 99… chissà il Giro del Centenario.
Vogliamo il bis.
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