“Bevete un lucano”… sorseggiatelo lentamente. Il lucano è Domenico Pozzovivo. Che non è amaro come un lucano ma dolce come una tappa al miele. Zitto zitto, quatto quatto, senza polemiche, senza proclami il Pozzovivo-nazionale, che non è per nulla considerato dalla stampa, a 35 anni è ancora l’unico corridore italiano in vetta al classifica del Giro d’Italia. Unico a tenere a freno mostri su due ruote come Chris Froome o Simon Yates, oggi scatenato ai meno 37 chilometri dal traguardo. Partito in contropiede su tutti, maglia rosa e tappa per l’inglese, unico a fare da contrappeso è ancora il piccolo scalatore lucano. Stanco, affaticato, infreddolito, ma il “Pozzo” è li disponibile per i giornalisti.
“Una tappa molto dura – spiega mentre Alex Carera, suo manager lo copre. Pozzovivo ci prova sempre e arriva pure quarto, ieri terzo sullo Zoncolan – anche per le condizioni meteo, in cima al Gpm. Lassù ho patito un po’. Era freddo e in discesa ho patito parecchio. Certo un bel po’ di rammarico c’è. Quello di aver preso un buco con dietro Froome e nessuno impegnato seriamente a chiuderlo. C’è mancato poco per prendere la maglia rosa. Ho patito lo sforzo per rientrare, l’ho pagato (e tossisce) anche perché avevo tutti a ruota. Ma penso di poterci provare di nuovo a indossare la maglia rosa. Certo Yates ha consolidato il suo primato ma cercherò di fare del mio meglio, sono sempre lì davanti”.
Qualcuno gli chiede di Fabio Aru, oggi alla deriva. 20 minuti beccati da Simon Yates. In tre chilometri ha preso dieci minuti. Una cosa assolutamente impensabile. Arriva con il volto nero, scortato dai suoi compagni di squadra che si sacrificano per lui per riuscire a portarlo al traguardo. Non si fa avvicinare da nessuno. E rimane in silenzio a pagare lo sforzo che lo ha visto cedere di schianto ai meno 37 chilometri dal traguardo. Barcollo ma non mollo. Ma Aru ormai barcolla e basta. Mollare sta mollando. Certo si, ha vinto una Vuelta, ma ormai sembra un lontano ricordo. Vuelta o non Vuelta, arriverà a Roma come cantava Antonello Venditti?
Da giorni leggiamo sulle pagine Facebook del team e dei suoi supporter solo giustificazioni. “Sono deluso, non sono una macchina, sono un uomo, sono un ciclista” e avanti di questo passo, quasi a impietosire tifosi, appassionati, estimatori, i tanti cavalieri dei 4 mori sparsi sul territorio ma soprattutto i tanti giornalisti che lo hanno osannato da cinque anni a questa parte, quando è passato al professionismo. Il nuovo Merckx, il nuovo Gimondi, il nuovo tutto. Ma oggi è diventato il nuovo niente. L’ascesa e la caduta degli Dei, come raccontava Nietzsche, per Aru è stato lo Zoncolan.
Li avrebbe dovuto diventare uomo, corridore, invece si è fermato in un limbo dal quale non sa uscire. Gustificazioni all’Astana, i corridori che troppo spesso lo hanno lasciato solo, nessuno lo ha seguito nella nuova esperienza Uae, un nuovo entourage tutto per lui, si sceglie il portavoce, si sceglie il procuratore – avvocato, Tiralongo che lo scorta in gara prima in Astana e ora come preparatore alla Uae. Colnago che fa di tutto per averlo. Tutti vogliono Aru.
Ma Aru cosa vuole da se stesso? Il trasferimento a Lugano, le poche corse e i tanti ritiri, forse troppi, le cadute, i malanni fisici, il concedersi troppo poco. Ma alla fine un corridore è esattamente come un neonato, deve mangiare , dormire , sporcare il pannolino. Il corridore, mangiare, dormire, riposare e soprattutto correre nelle gare.