Quante volte lo avete sentito ripetere dall’inizio del Giro d’Italia? Il Giro è in una bolla. Non si possono avvicinare i corridori, non si può accreditarsi senza presentare un tampone, non si può questo, non si può quello…
Peccato che la bolla rosa più che ad un protocollo anti-covid applicato in maniera rigida assomigli di più ad una di quelle bolle della Big Babol che solo i più esperti tra noi adolescenti riuscivano a far gonfiare all’inverosimile prima di farla esplodere e tornare a masticarla come se non ci fosse un domani.
I test anti-covid effettuati nei due giorni di riposo della corsa rosa hanno certificato l’assenza di positività tra il personale e gli atleti, e questo è indubbiamente un ottimo risultato ma il tempo di prenderci “in Giro” è finito. Siamo onesti.
Dopo aver visto la folla ai ritrovi di partenza, dopo aver atteso per ore l’arrivo di Cortina con le immagini dei tifosi ammassati al traguardo che si abbassavano la mascherina per salutare casa trasmesse in mondovisione, dopo aver assistito ieri al passaggio della corsa sulla salita di Sega di Ala gremita di pubblico senza mascherina, viene da chiedersi che senso abbia ancora parlare di protocollo anti-covid al Giro d’Italia.
Ci va bene che i numeri del Covid, non solo in Italia, ma in tutto il mondo sono in rapida discesa e che, probabilmente, in questo trend rientrano anche i grandi eventi come il Giro d’Italia o la festa milanese per lo scudetto dell’Inter o, ancora, i bar pieni fino a tarda ora.
Inutile ridurre gli accrediti, chiedere l’autocertificazione ai tifosi che vogliono entrare nel villaggio di partenza, fare i tamponi a tutta la carovana, imporre la mascherina prima del via e sul podio, predisporre intere zone degli alberghi isolate dal resto del mondo se poi gli stessi atleti si fermano a parlare con il pubblico, raccolgono bicchieri di birra lungo il percorso o scattano selfie ammassati con gli appassionati dopo il traguardo. Tutte “imprese”, peraltro, documentate ampiamente sui social network ed in TV.
E’ evidente che ci stiamo prendendo in Giro. Che dietro ad una apparente cortina di ferro non ci sia alcuna sostanza e che questo non faccia altro che incentivare la scarsa attenzione al problema Covid.
Si dirà che è impossibile controllare l’afflusso dei tifosi, così come il comportamento di ogni singolo corridore. Su questo possiamo anche concordare ma allora ci vorrebbe un minimo di buon senso nell’ammettere che il Giro d’Italia si sta correndo solo perchè è un grande evento e perchè era proprio necessario disputarlo anche in deroga al protocollo anti-covid.
Ma se si facesse questo, allora si dovrebbe anche andare a spiegare a tutti quei ragazzini tra i 7 e i 12 anni, i nostri giovanissimi che rappresentano il futuro delle due ruote, perchè da oltre un anno si impedisce loro di gareggiare nel nome del rispetto delle norme anti-covid.
Questa volta però bisognerebbe inventarsi una buona scusa per dire loro che il problema del covid nello sport sono proprio le loro garette che si svolgono in piccoli paesi dispersi nel nulla, lontani dai riflettori, e non la situazione fuori controllo di un grande evento che sta trascinando con sè un intero Paese. E fidatevi che questa volta non basta una Big Babol per convincere questi regazzini a non abbandonare un mondo che li ha ripudiati per così tanto tempo…