Finisce la tappa sullo Zoncolan, spettacolo, pioggia, freddo, storia, gente, pubblico. E comincia la Tarvisio – Sappada. Tappa friulano carnico veneta cadorina o tappa tutta carnico friulana? Questo è il dilemma da un bel pò di mesi a questa parte. Ovvero da quando a Sappada hanno votato e fatto vincere il referendum per l’annessione del piccolo paesino a cavallo tra le dolomiti carniche e il Cadore veneto. Una scelta sofferta. Dicono di cuore i sappadini (boh come si chiameranno per davvero?).
Una scelta di portafoglio dicono altri. Una scelta che comunque costerà cara al Friuli che dovrà sganciare milioni di euro per rimettere a posto il paese effettivamente un pò dimenticato dal Veneto ma che comunque costituiva un bel comprensorio sciistico dove poter incassare bene senza adeguare impianti e molto altro, dalle tecnologie alle ricezioni alberghiere ovvero senza sborsare. Salendo da Ravascletto verso Sappada ci si accorge di come cambia il paesaggio. Quello delle Alpi Carniche, che alla fine sempre alpi sono, duro, grezzo, tagliato nella roccia, quasi una Pietà Rondanini scolpita con tagli netti decisi e ancora abbozzata dentro la materia , dentro il marmo, l’ultimo scelto da Michelangelo. La strada verso Sappada si fa più dolce, morbida, i paesaggi sinuosi, le valli aperte, come la Pietà a San Pietro, accogliente , calda e materna. Sappada è su una ampia vallata. E salendo sugli ultimi tornanti non capisce se si sia allungata la Carnia o ristretto il il Cadore.
E vedi, pur essendo sera, con le ombre che cominciano ad avvolgerle cime dei pini e degli abeti, che a frotte i ciclisti salgono vero il traguardo. In bici da corsa, in mountain bike, con bici elettriche, purché siano due ruote. E lucetta a intermittenza. Tanti con zaino e tendina in spalla.Per accamparsi nella notte fredda e umida, carica di pioggia, lungo i bordi delle strade in attesa del transito dei corridori negli ultimi chilometri. E poi c’è la folta schiera di camper, di mini van, il popolo degli alberghi.E chi invece già sta attrezzando sparivo del giro posando palco e traguardo, transenne e collegamenti.
Chi di notte riposa, i corridori in primis , dopo fatiche della tappa e chi invece lavora, giornalisti, giuria, attrezzisti, meccanici dei team, palchi, transenne e tanto altro. Il popolo della notte, cantava Jovanotti. Ed è proprio così al Giro. Il Giro è forse una delle ultime attività ad avere tuttora una funzione sociale. Chi mai andrebbe a visitare paesini come Ravascletto o San Pietro di Cadore o qualche paesino sperso del Sud se non grazie al Giro d’Italia. Fermandosi a prendere un caffè o un panino e aumentando il Pil di quel piccolo centro? Chi mai potrebbe protestare per la propria fabbrica in crisi o per qualche altra motivazione di carattere umanitario se non al Giro? Non di certo in uno stadio di calcio.
Il Giro nonostante Froome, nonostante la classifica, nonostante le vittorie o le sconfitte resto uno degli ultimi aggregatori sociali in Italia, dove il povero e il ricco prendono ugualmente la pioggia se piove o si scaldano se c’è il sole, calpestando la stessa striscia d’asfalto dei corridori. E dove mangiare un panino in compagnia, magari a fianco a uno vestito da T-Rex urlante lungo la strada al passaggio di Froome, non ti fa passare da idiota (anche se poco ci manca…) ma da simpatico personaggio. E dove anche la peggior topaia che potessi trovare ti rende comunque allegro, perché tanto, sei al Giro…