“Mio papà era un coppiano, lo fotografava sempre. E anche io l’ho conosciuto Fausto Coppi. Ma io tifavo Gino Bartali. E da piccolo mi infilavo tra corridori, ruote e biciclette e osservavo con stupore il mondo del ciclismo. Così come lo osserverò nuovamente i n questi giorni”. E’ sagace, anche allegro e con quel pizzico di ironia a volte pesante che lo connota, Oliviero Toscani, ospite illustre al Giro d’Italia.
“Mio padre è stato il fotografo del Giro d’Italia per il Corriere della Sera. E in genere per il ciclismo sempre al Corriere. L’archivio fotografico degli anni ’50 e ’60 è frutto del suo lavoro e dei suoi scatti. Con lui sono stato tante volte al Vigorelli. Ho assistito al record dell’ora di Coppi, ho visto le Milano Sanremo, il Giro di Lombardia, i Giri d’Italia. Il ciclismo è da sempre uno sport che mi emoziona”. La Gazzetta dello Sport, rispolverando le foto che adesso vengono chiamate vintage, ha ritrovato l’archivio di Toscani padre e ha chiamato Toscani figlio come in una sorta di continuità temporale, emozionale, artistica a scattare, immortalare il Giro d’Italia a Gerusalemme.
Accompagniamo alla partenza della crono Oliviero Toscani, una lunga chiacchierata che continua anche sotto i gazebi che si stano preparando per la cronometro, prima tappa di questo Giro d’Italia che parte da fuori Europa, Israele. Ironizza sui veneti e sul loro rapporto con il vino, ma tanti corridori sono veneti e anche chi lo intervista lo è. Alla fine preferiamo parlare di ciclismo. E di fotografia.
E lì esce il vero Oliviero Toscani. Che parla tranquillamente e intanto osserva tutto il circo che sta attorno alla corsa rosa.
“Il fotografo del Giro, il lavoro che faceva mio padre era in sostanza il reporter. Perché alla sua epoca non esisteva l’informazione come l’abbiamo adesso. Le fotografie erano importanti per far conoscere alla gente i campioni, i propri idoli. Una foto significava tantissimo. Permetteva alla gente di identificare il corridore. Era la civiltà dell’immagine. Come in epoca medievale, rinascimentale. La gente entrava in chiesa, e poteva riconoscere, attraverso le immagini, i santi verso i quali rivolgere la preghiera. I giornali praticamente non esistevano. Negli anni di mio padre non esisteva la tecnologia che c’è adesso. E il ciclismo era immagine popolare. La partecipazione genuina del popolo a un evento sportivo. E anche di ingenuità. Perché la bicicletta era un mezzo di trasporto fondamentale, spesso, Bottecchia, Coppi, Bartali, diventavano corridori per necessità. Con la bici ci andavano a lavorare. E poi, sempre in bici sono diventati corridori. Ricordiamoci di un film. Ladri di Biciclette. Mica Ladri di Mercedes”.
Negli scatti qui al Giro d’Italia, sarà il Toscani padre, ovvero il fotoreporter o l’Oliviero Toscani fotografo?
“Io sarò qui per scattare.Per fare ciò che mi piace di più. Rappresentare per immagini. Uso la fotografia per esprimere quello che più mi piace. Vedere attraverso l’obiettivo quella che è la realtà che intendo io. Spesso e volentieri discuto con donne che devo fotografare. Loro vogliono sembrare ciò che non sono. Io le dipingo per ciò che sono”.
Lei è qui per scattare. Ma cos’è il fotografo?
“Il Fotografo è tante cose insieme. Autore, sceneggiatore, scenografo, regista, direttore della fotografia. E operatore alla macchina. Il reporter immortala solo ciò che gli si para davanti. Il reporter di guerra ad esempio ha già tutto. Il sangue, le bombe, i morti , la distruzione. Non serve fare altro. Mio padre era un reporter. Ora si devono cercare le storie. Ma comunque io non sono un nostalgico. Nell’essere nostalgici si rischia di mancare di energia per guardare avanti. Il passato non si rinnega ma nella nostalgia non c’è fantasia”.
Parliamo di ciclismo, ha immortalato i tre corridori di punta. Conosce il loro gesto atletico o solo le loro facce?
“Io tifo per Aru. E’ forte, mi piace. Ha una faccia tagliata con l’accetta. Ha grinta e si merita tutto. Froome? E’ inquietante, un alieno, un marziano. Una macchina. Lui e la sua bicicletta. Tom Dumoulin? Elegante, ma forte e determinato. Alla fine credo vincerà ancora lui. Quello che non farà la bicicletta ai tre, ovvero far uscire la loro vera anima, ci penserà la mia fotografia. Spero”. Prosit mister Oliviero Toscani. Alla fine brinderemo con un buon prosecco.