La piccola comitiva degli autisti della giuria, dei direttori di corsa e di altri servizi per il Giro d’Italia, si aggira curiosa tra le stradine dell’antica Gerusalemme. A far da capo guida, munito di navigatore, l’ex campione del mondo di Verona 1999, categoria under23, Leonardo Giordani. Aggirarsi tra i viottoli della città Santa, tra il giardino dei Getsemani, dove Cristo trascorse l’ultima notte in preghiera e poi lungo la via Dolorosa, conosciuta dai cristiani come via Crucis, è tutto un far domande, leggere iscrizioni, informarsi. Usano Strava i corridori, abituati ai saliscendi, come in un allenamento. Anche se in questo caso la passeggiata senza bicicletta è tra tappeti, spezie, croci, santini e tanti altro nel suq di Gerusalemme.
La comitiva arriva al Muro del Pianto, luogo sacro per eccellenza per gli ebrei. E nella spianata vengono divisi i gruppi tra donne e uomini. Come il detto che da sempre circola nel ciclismo. Quando la strada inizia a salire, il gruppo si divide tra corridori e femminucce. “Eh già – attacca Leonardo Giordani, un lungagnone di oltre un metro e novanta, più un play nel basket che un corridore, nell’aspetto -. Quel Muro del Pianto sembra una salita. Quanto si è sofferto in bicicletta ed ora siamo qui, tornati in gruppo, con i professionisti. Anche se in veste differente”.
La rivincita degli ex, un pò come titolava un film. Da corridori ad autisti ma sempre nel giro. E ce ne sono davvero tanti. Da Giordani a Bertolini, da Bandiera a Peschi. “Del resto – spiega Giordani – se sei stato corridore, giocoforza sei anche bravo nella guida”. In tanti, dopo essere scesi di sella, cercano il proprio riscatto rimanendo nel mondo delle due ruote. Per Giordani, romano di Roma città, ex campione del mondo su strada under23 a Verona nel 1999, dopo 14 anni di professionismo , dal 2000 al 2014, era tempo di reinventarsi la fatica, ma sotto una forma differente. “E ho scoperto pure una nuova passione – illustra l’ex iridato -. Mi piace molto lavorare con le categorie giovanili. Sceso di sella ho iniziato ad aprire i libri per studiare. Biomeccanica, posizionamento, allenamenti. E poi, mai fermo, anche i corsi da direttore sportivo”.
Il ciclismo tuo e il ciclismo di adesso?
“Un abisso. I ragazzini, loro hanno anche voglia di imparare, e pure di fare fatica. Ma ci sono troppi condizionamenti esterni che danneggiano la serenità del corridore. I ragazzini prima devono pensare ad apprendere il mestiere, poi pensare di essere magari anche campioni”.
E invece?
“E invece ci si scontra con i genitori che si mettono a fare i direttori sportivi . E le ruote profilo alto e quelle profilo basso, e le ruote in carbonio e il telaio all’ultimo grido. E l’alimentazione e tante altre cose. Ragazzini che non sanno più chi ascoltare perché bombardati da mille input esterni, senza concentrarsi su quanto invece può insegnare un direttore sportivo che fa quello di mestiere. E purtroppo anche le difficoltà economiche hanno abbassato il livello. In una squadra, mancando a volte i fondi necessari per svolgere una attività di una certa importanza, si deve tagliare su tante cose. E troppo spesso anche i dirigenti confondono i ruoli. E si ingenerano confusioni e dimostrano poca professionalità”.
Direttore sportivo. Un mestiere difficile?
“Ho lavorato con gli under23. Non è semplice. Ma dobbiamo lavorare di più sulle categorie dei più piccoli. Dobbiamo rifondare un movimento che negli ultimi quindici anni ha perso di valore e soprattutto sta perdendo il patrimonio dei corridori. Perché i corridori sono il patrimonio del nostro ciclismo”.
Abbassa la testa Giordani, guarda sconsolato il cellulare e legge a voce alta un comunicato: “45 corridori italiani al via del Giro d’Italia”.
Quindi?
“Quindi non è un bel segnale. Certo, il Giro come tutto il ciclismo si è globalizzato. Ma ormai il ciclismo italiano all’estero non detta più legge come un tempo. Certamente possiamo contare su grandi corridori come Nibali, ma non basta. 45 corridori italiani al Giro sono pochi. Un tempo il ciclismo italiano faceva scuola. Dobbiamo tornare ad essere competitivi, preparati e soprattutto rispettati”. Gli fa eco Alessandro Bertolini, ingaggiato anch’esso nella truppa degli autisti. “Il ciclismo italiano è a una svolta. O impara a diventare professionale e si sveglia o bisogna capire come ripartire”.