“Dio è morto” venne scritta da Francesco Guccini nel 1965 e incisa dai Nomadi nel 1967. Un testo che riprendeva un aforisma di Friedrich Nietzsche anche se Guccini si richiamava all’Urlo di Allen Ginsberg. “E’ un Dio che è morto, ai bordi delle strade….Dio è morto nei miti dell’estate”.
LAIGUEGLIA. ANNO DOMINI 2018 – Il ciclismo è morto lungo le strade. Il ciclismo che noi abbiamo vissuto. Quello delle folle che abbracciavano i campioni. Quello di Gimondi che svernava tra Alassio e Laigueglia, quello della prima gara d’apertura della stagione dei professionisti. Quelli veri. Quelli con le squadre che giravano il mondo e che, da italiane in gita correvano il Tour de France o la Vuelta.
Il ciclismo di Laigueglia non lo abbiamo riconosciuto. Quello delle fotografie autografate, quello degli autografi sul foglietto di carta. Quello del tifo da stadio e dei grandi campioni che debuttavano sul lungomare ligure, mentre a pochi passi si cantava, a Sanremo. Ora invece si debutta ad Abu Dabi, a Dubai, in Argentina, in Colombia, in Neozelanda. Non si smette mai di correre, a qualunque latitudine, a qualunque giorno dell’anno. Non si rispetta il giorno dei campionati nazionali. Si fanno mesi di ritiro e poche corse.
Il contrario di quando si riposava d’inverno e si correva tanto. Si programma. Tutto è programmazione e watt. Strava e app. Si comanda anche al tempo, con le scie chimiche, per chi ci vuole credere. Sul lungomare di Laigueglia stancamente si trascinavano frotte di pensionati milanesi a svernare lontani dalle nebbie della Madonnina. Qualche macchina partita di primora dalla Brianza per andare a vedere i corridori. Il resto, pubblico distratto.
IRRICONOSCIBILE– Passa sul lungomare un gruppo di cicloamatori. Vestiti di tutto punto, sfoggiando cambio elettronico e freni a disco, abbigliamento tecnico tale da scambiarli per dei professionisti in gita. Gettano distratti un’occhiata al gruppo dei corridori in transito sul lungomare dopo aver scalato il Testico ovviamente in gara – Il Testico, al solo nominarlo un tempo faceva tornare alla mente campioni, corse, fughe, brividi ed emozioni lungo la schiena – e parlottano tra di loro: “Ma che corsa è? Una gran fondo?”. Uno nel gruppetto di cicloamatori replica: “No, il Laigueglia mi pare”.
E continuano a pedalare nella loro sfida domenicale. In gruppo, quello vero, quello dei corridori, ci sono atleti con palmares invidiabile. Il Laigueglia lo vincerà Moreno Moser, della stirpe dei Moser. Evoca un cognome leggendario. Sfide contro il tempo, Giro d’Italia, battaglie sui sassi spuntati e acuminati della Roubaix, Milano – Sanremo. Ci servono i cognomi illustri per far ricordare che sul Lungomare di Laigueglia arriva la corsa d’apertura del calendario italiano. Un calendario ridotto all’osso. Al via gli organizzatori creano un corridoio solo per gli atleti. I corridori non sfilano tra il pubblico. In pochi vengono riconosciuti.
GAMBE IN FUGA – C’è il corridore veneto che bestemmia contro uno del proprio staff e il suo manager che ci mette il carico da novanta. Questa è l’immagine del ciclismo italiano. Squadre professional ridotte all’osso. Solo quattro, costrette a strapparsi l’una con l’altra un invito all’estero per cercare di portare la qualità dei colori italiani. Del resto, afferma qualche dirigente federale, l’Italia è il paese maggiormente rappresentato nelle squadre World Tour. “Non è che non produciamo qualità – confutano -. Ci portano via i nostri corridori migliori. Quindi in Italia restano corridori medio buoni che prima fanno a spallate per emergere. Se poi emergono li portano lontano dall’Italia”. Insomma anche nel ciclismo…cervelli in fuga, o meglio gambe in fuga, perchè, ascoltando il rosario del corridore veneto prima della partenza, una bella immagine non è che sia stata data al ciclismo nostrano.
Dio è morto come il ciclismo? Speriamo di no. Speriamo che l’ultimo caso di doping, deflagrato in Toscana, non lo abbia fatto morire del tutto. Il ciclismo, dice qualcuno, si salva adesso grazie alle continental. Ma quali continental. All’estero per la gran parte vengono assoggettate ai dettami dell’Uci. Regolare contratto di lavoro. Stipendio medio buono, buon numero di dipendenti, calendario internazionale, serietà, nessun team manager che si intasca i soldi a discapito dell’atleta. Marketing e comunicazione di livello, in stile anglosassone. Insomma in alcuni paesi il ciclismo è investimento, immagine, cultura e tanta lotta al doping.
In Italia su tante cose ci siamo fermati. Se siamo costretti a sognare ancora con i racconti del collega Paolo Viberti, un volo nei ricordi e nella fantasia di momenti epici del ciclismo, ancorati purtroppo ad un passato che poco ci ha insegnato, allora la canzone di Guccini per il ciclismo è più che mai calzante. Il lungomare di Laigueglia traboccante di gente? Si certo. Del resto era l’unico evento della giornata in zona.
Il ciclismo ripensi se stesso e proprio come cantava Guccini ne La Genesi: “Ma poi volando sull’acqua stagnante e sopra i mari di quell’Universo, mentre pensava se stesso pensante in mezzo a quel buio si senti’ un po’ perso”….si ritrovi nel buio e ricerchi la luce.