Alle 9.30 alla periferia di Tel Aviv arriva l’auto che mi raccoglie per trasportarmi a Eilat, città turistica all’estremo sud di Israele, L’affaccio, un piccolo angolo, sul Mar Rosso. Una piccola punta piramidale stretta tra Giordania, Egitto e Arabia Sudita. L’antico porto di Aqaba, quello da dove il marinaio Simbad salpò per avventure straordinarie sui Mari. Leggende delle Mille e Una Notte. Novelle mediorientali che ricordano storie di sultani, principesse, vie carovaniere, commercio di spezie, stoffe, sete e pietre preziose. Suona il clacson e l’autista è addirittura Davide Cassani. Il nostro viaggio, assieme, comincia da qui. A bordo di un’auto con la compagnia del collega Massimo Lopes Pegna, inviato da New York de La Gazzetta dello Sport. Un viaggio lungo quasi 400 chilometri dalle porte di Tel Aviv, l’antica Jaffa.
Giaffa, un tempo fatta a terrazzamenti, e famosa ora per gli agrumi, pompelmi e arance, è il porto storico del Paese sul Mar Mediterraneo, citato nell’Antico Testamento come porto di arrivo del cedro del Libano, usato per la costruzione del tempio di Salomone. Durante il Medioevo si trattava del principale porto della Palestina, usato dai mercanti europei. I Veneziani avevano creato nel tardo medioevo un servizio di galee di linea tra Venezia e Giaffa per il trasporto dei pellegrini europei che desideravano recarsi in pellegrinaggio in Terrasanta.Da Giaffa si va verso Be’Er Sheva, città dei primi del novecento famosa per lo sviluppo delle tecnologie.
Tel Aviv, città moderna, vivace, fatta di grattacieli, traffico, negozi, lungomare e vita notturna si trova al limitare del deserto del Negev. E poi attraverso il deserto roccioso, la depressione nella parte sud del Mar Morto, si arriva, dopo quasi 400 km allo sbocco sul Mar Rosso.
“Abbiamo quattro ore per parlare di ciclismo, ma non solo – sorride Cassani – che alla guida dell’auto è sicuro come quando correva in bicicletta -. Devo documentarmi dove vado, cosa vedo lungo la strada, i luoghi storici”. La strada appena fuori Tel Aviv comincia a incontrare quello che si chiama deserto. “Il nulla vedo però che traffico c’è, un viavai di camion, macchine, mezzi pesanti, non avrei mai creduto che un deserto fosse così trafficato. Roccia, vedo tanta roccia, ma la sabbia dov’è”.
In effetti ci aspettavamo la sabbia, le dune e invece scopriamo un deserto che è solo avaro di tante costruzioni ma carico di montagne, rocce, avvallamenti, palmeti da dattero, vigneti, alberi da frutta e molto altro, cave comprese, oleodotti, metanodotti, qualche costruzione simile a fabbriche, kibbutz e oasi che altro non sono che i nostri autogrill. Insomma un. Deserto abitato. Uno spettacolo naturale comunque, con montagne relativamente basse, brulle, stratificate, dove l’erosione del tempo e la stratificazione delle varie ere geologiche si vede chiaramente. Sembra di stare nelle zone del Grand Canyon in America.
E poi inevitabilmente si finisce a parlare di ciclismo. Ma prima c’è il Bologna. “Il mio Bologna – racconta Cassani -. Una passione che mi ha trasmesso mio padre. Non per niente partecipo anche alla trasmissione Quelli che il Calcio quando c’è il Bologna. Vi posso citare le formazioni di più anni. Le ricordo a memoria. Quanti anni passati a completare gli album di figurine Panini. Ce l’ho, ce l’ho, manca, manca. Che bei tempi, quando lo sport ti apparteneva, vivevi di passione anche con poco. Come con le figurine. E poi mi piace il basket. Insomma tutti gli sport. E li ho praticati un pò tutti. Eccetto il nuoto”.
Davide Cassani, sportivo nato per la passione di praticare comunque sport. “Ho corso 9 Tour de France, una infinità di Giri d’Italia. Sceso di bici ho corso sette maratone di New York, ho fatto il Crocodile Trophy in mountain bike in Australia, una corsa tappe nel deserto, corso in macchina, persino la maratona di mezzofondo sugli sci, non sapevo usare gli sci da fondo, mi hanno fatto due lezioni e ci ho dato dentro. Potrei essere un triatleta ma mi manca il nuoto”.
Ah ma allora Davide Cassani un tallone d’Achille lo ha?
“Eh si. Capita. Ma non posso sempre fare tutto. La passione comunque mi muove. Altrimenti non andrei in allenamento con i miei azzurrini juniores o under23 quando li convoco. Mi misuro con loro, a volte scatta pure la competizione, devo comunque dare il buon esempio. Ogni tanto però dovrei ricordarmi che non ho più 20 anni”.
Intanto il viaggio continua tra scenari mozzafiato e man mondo che non ti aspetti. Quel deserto in parte strappato all’aridità e trasformato in vita. Il ciclismo torna di prepotenza.
“Un Giro che farò tutto da inizio alla fine. Mi serve anche per tenere sotto controllo i professionisti che vedo troppo poco. Con un ciclismo globalizzato e i corridori sempre in giro nel mondo, a volte non hai chiara la situazione di questo o quel corridore. Semplicemente perché non hai occasione di vederlo. Almeno qui posso controllare la forma di alcuni”.
I prossimi appuntamenti sono importanti.
“Abbiamo il campionato europeo a Glasgow, un percorso non difficile, uno strappato da ripetere più volte. Ci vogliono gambe ma soprattutto devo impostare una squadra non per velocisti puri. Alla Colbrelli per dire, che tiene anche in percorsi più impegnativi, o un Bonifazio o un Marcato. Devo fare una squadra completa sia per la corsa impostata su un ritmo veloce o che venga fatta dura. E poi il mondiale. Il più duro di sempre. A Innsbruck. Una squadra di quasi tutti scalatori. Logico che debba tenere sotto controllo Aru che spero esca in grande forma da questo Giro d’Italia”.
Ci fermiamo in un’oasi dopo aver percorso quasi trecento chilometri. Lui sempre fresco e scattante, un Nino Castelnuovo della pubblicità dell’Olio Cuore (per i più anziani che la ricordano). Per noi un panino belo pienotto, per lui gallette di riso e succo di mela. Per forza si mantiene in forma.
“Mi manca essere andato a correre oggi – continua -. Mi rifarò a breve. Anche in questi giorni i miei allenamenti li ho fatti”.
Arriviamo a Eilat. Un vento pazzesco, quasi una tempesta di sabbia. E brutte rotonde, in discesa. “Speriamo in bene, questi ultimi chilometri non sono proprio di mio gradimento. Il vento a favore farà arrivare prima i corridori. Speriamo non arrivino prima anche con le cadute”. Ci saluta e via verso il palco a raccontare la corsa e le sue emozioni del deserto.