Ordine d’arrivo:
1° Julian Alaphilippe (Deceuninck Quick Step) 6h40’14”
2° Oliver Naesen (Ag2r La Mondiale)
3° Michal Kwiatkowski (Sky)
4° Peter Sagan (Bora Hansgrohe)
5° Matej Mohoric (Bahrain Merida)
6° Wout Van Aert (Jumbo Visma)
7° Alejandro Valverde (Movistar)
8° Vincenzo Nibali (Bahrain Merida)
9° Simon Clarke (EF Education First)
10° Matteo Trentin (Mitchelton Scott)
Il ciclismo moderno ha il baffetto alla D’Artagnan di Alaphilippe e la sfrontatezza della sua volata. Il ciclismo moderno parla francese, anzi torna a parlare europeo. Ma non parla italiano. Alla partenza chiediamo scherzosamente al transalpino della Deceunink, mentre lo riprendiamo: “The winner is…Julian?”. Sorride, accenna ad un saluto, si mette in disparte e chiacchiera sommessamente con un compagno di gruppo. La tattica ce l’ha in testa. Le gambe pure volano e lo spirito vola già a a Sanremo.
La Tirreno Adriatico era il riscaldamento per la grande classica di primavera. Il ciclismo moderno è questo. Il giorno precedente alla Milano Sanremo c’è il rito della punzonatura. Ci muoviamo tra gli addetti ai lavori e qualche nostalgico chiacchiera….“Partivano di notte, alle 3 di notte, con i fanali a carburo, le uova sode dentro le tasche cucite dietro la schiena, le maglie di lana, i tubolari a tracolla…”.
Discorsi vintage di un ciclismo che solo gli appassionati delle due ruote antiche continuano a fare. Coppi, Bartali, Bitossi, Gimondi, Merckx… Grandi campioni per carità. Ma il ciclismo va avanti. Un pò come se nel calcio invece di parlare di Cristiano Ronaldo o di Icardi o Wanda Nara si parlasse in continuo di Nereo Rocco, di Jose’ Altafini, o di Carnera nella boxe. Gli sport, il mondo, vanno avanti.
E il mondo delle due ruote ha il volto di Peter Sagan, funambolo del fuoristrada, impennate, scalate in bici sul tetto della macchina, tante maglie iridate, tanti selfie e allegria. Anche se sul traguardo della Sanremo numero 110 Sagan ha poca voglia di scherzare. Il ciclismo contemporaneo ha il volto di Julian Alaphilippe, baffettino alla D’Artagnan, leggero, aereo, ballerino in macchina sulle note di Stayin Alive dei Bee Gees. Il connubio antico e contemporanea va bene, ma fino ad un certo punto.
Non va più bene quando la punzonatura della Milano Sanremo viene relegata in un hub di biciclette alla periferia anonima di Milano, che diventa illustre solo per il nome del viale sul quale insiste la struttura: Viale delle legioni Romane. Perché i corridori sono un pò legionari, marciatori su due ruote alla conquista delle insegne del primato. Marciano sulla conquista di un traguardo esattamente come marciavano le legioni romane, con qualche morto o disperso lungo la marcia. Ma nell’hub di viale delle Legioni Romane c’è un ritrovo per pochi intimi, gli addetti ai lavori, stretti stretti. La riunione dei direttori sportivi che altro non sono se non i consoli della Legione dei Corridori.
Alla Milano Sanremo i corridori devono conquistare la terra dei Liguri, popolazione da sempre nell’antichità considerata feroce. Doveva difendere la poca terra a ridosso delle montagne, degli Appennini, dalle incursioni via terra, alle spalle, dalle montagne e quelle dal mare. I corridori legionari stavolta scendono dalla Francia, terra contigua alla Liguria. Julian Alaphilippe, tra i dilettanti quel nome che a fare lo spelling richiedeva una N in più, è il favorito della vigilia.
E come nel festival canoro un favorito c’è sempre e spesso ci si azzecca, anche sul traguardo delle ruote veloci stavolta pronostico azzeccato. Perché la Milano – Sanremo è ormai corsa per passisti veloci. La Cipressa, il Capo Berta, il Capo Mele e il Poggio vengono bevuti come una spremuta di limoni ghiacciata in piena estate. Tutta d’un sorso. Alaphilippe ha il volto del ciclismo moderno, allegro, baldanzoso, vincente. Ma non ha il volto italiano. Troppo attempato, troppo bizantino, troppo burocratico. Vincenzo Nibali ottavo, Matteo Trentin decimo sono le ultime speranze di un ciclismo tricolore che non deve diventare vintage.
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