“Ho pedalato per tanti anni in salita. Ora che siamo riusciti a superare le tante difficoltà e abbiamo a disposizione uno staff con cui possiamo collaborare fattivamente e divertirci sarebbe davvero un peccato mollare” Renato Di Rocco lo aveva annunciato ai microfoni di ciclismoweb.net ancora in tempi non sospetti, era il 16 febbraio 2016 (clicca qui per rileggere l’articolo) ed è stato di parola: a Rovereto, sabato, sarà ancora lui “l’uomo da battere”.
“Il ciclismo italiano ce l’ha fatta, finalmente, a rialzare la testa: nel mio primo e nel secondo mandato abbiamo dovuto lavorare sodo per chiudere i buchi di bilancio che ci erano stati lasciati in eredità. Non potevamo nemmeno parlare perchè ogni settimana compariva la notizia di un atleta positivo al doping e arrivavano colpi duri alla nostra immagine da tutte le parti. In questi ultimi quattro anni, finalmente, grazie al coordinamento dei nostri tecnici e al dialogo con le società abbiamo ottenuto dei risultati importanti e, soprattutto, abbiamo dato nuovamente lustro al nostro movimento” chiarisce il presidente uscente.
Presidente, bene i risultati, ma non ha mica corso lei i mondiali e le Olimpiadi…
“Ci mancherebbe! Quando parlo di medaglie non voglio certo prendermi i meriti dei nostri atleti. Ognuno gioca il proprio ruolo ma finalmente abbiamo fatto squadra. Credo che in questi anni siamo riusciti a creare un sistema che abbia portato alla crescita e alla valorizzazione dei nostri talenti. Abbiamo fatto diversi cambiamenti e abbiamo concretizzato le diverse fasi della progettualità che era partita qualche anno fa dall’alleggerimento dell’attività giovanile, passata per la multidisciplina e per la crescita internazionale del movimento dilettantistico. La pista, con Marco Villa, ha fatto un vero e proprio salto di qualità e a testimoniarlo, oltre all’oro olimpico di Viviani, ci sono le qualificazioni olimpiche dei due quartetti, i titoli e i record mondiali”.
Medaglie importanti, ma l’altra faccia del ciclismo italiano si trova ogni giorno a fare i conti con difficoltà economiche e organizzative; come si conciliano queste due cose?
“Le difficoltà sono sociali e non riguardano solo l’Italia. Vi è un ridimensionamento economico a livello europeo, ci sono problemi sociali che interessano i vari ambiti della vita e lo sport, inevitabilmente ne risente. I numeri dei tesserati, però sono ancora in crescita in tutte o quasi le categorie e anche dal punto di vista organizzativo stiamo risalendo la china: il picco negativo lo abbiamo pagato due anni fa, ma da allora le cose sono migliorate. Abbiamo aiutato le società organizzatrici sottoscrivendo la convenzione con l’Anas, abbiamo creato le giornate rosa e azzurre che finalmente stanno prendendo piede: per mettere in pratica il cambiamento ci vuole tempo, ma le società lo hanno capito e hanno imboccato la strada giusta.”
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I numeri saranno pure positivi, ma, intanto, non abbiamo più una formazione World Tour e il progetto continental avviato dalla FCI sembra essere stato abbandonato a sè stesso: se la Unieuro, che nel 2016 era la migliore formazione continental italiana, il prossimo anno si affilierà in Bulgaria vuol dire che le cose non vanno così bene nel nostro Paese, non crede?
“Qui il problema è ancora diverso. In Italia scontiamo una pressione fiscale esagerata e un sistema di controlli sulle società sportive che non è omogeneo. I tanti accertamenti fiscali che hanno interessato anche le società più piccole pesano sulle spalle di chi vuole fare attività e scoraggiano chi si impegna per il ciclismo. Ma questo, purtroppo, non è un problema federale: è inevitabile che chi vuole svilupparsi si sposti in Paesi dove la fiscalità è agevolata o dove i controlli sono più blandi. Non dico che in Italia bisognerebbe chiudere un occhio ma, almeno, avere una regola certa in tema di pubblicità e sponsorizzazioni che venga applicata in maniera uniforme su tutto il territorio”.
Senta, ma la realizzazione del Velodromo di Treviso e il ritorno del Giro d’Italia Dilettanti non sono solo promesse elettorali vero?
“Assolutamente no. Per quanto riguarda il velodromo di Treviso abbiamo assegnato l’appalto, ora si dovrà concludere l’accordo definitivo e poi la società avrà 30 mesi di tempo per realizzarlo. Credo che abbiamo trovato un partner importante e serio che ha manifestato l’interesse di investire nel mondo dello sport e che non solo realizzerà il velodromo ma saprà anche avviarlo nella maniera giusta. Il Giro d’Italia dilettanti, partirà da una base solida con i fondi che arriveranno da tre regioni: Emilia Romagna, Marche e Abruzzo. Abbiamo già la conferma degli sponsor che copriranno le maglie delle varie classifiche e la Rai si è detta interessata a seguire l’evento, credo proprio che riusciremo a farlo. Davide Cassani ci ha messo la faccia in questo progetto: lui ci tiene particolarmente a questa corsa e, anche storicamente, è bello che torni a fare da traino una regione come l’Emilia Romagna da cui era partita la storia del Giro Baby”.
Con tutti questi risultati al suo attivo, le serviva proprio tentare di escludere dalla corsa alla presidenza due candidati come Roscini e Francini attraverso le decisioni degli organi di giustizia?
“Mi vengono addossate queste colpe ma io, in realtà, sono stato danneggiato doppiamente da queste decisioni degli organi di giustizia. Sia nel caso della sanzione irrogata a Giovanni Duci, sia ora con Francini e con Roscini: per prima cosa le eventuali sanzioni che hanno subito sono minime e poi sembra che sia stato io a volerli punire per cui mi trovo contro anche quelli che facevano parte della mia squadra. Io, invece, cerco di stare lontano da queste situazioni: non sono certo io a giudicare o a mettere sotto processo. Da quando si sono chiusi i termini per le candidature ho sempre fatto la corsa su quattro candidati e non ho cambiato strategia nè quando è stato escluso nè quando è stato riammesso Francini e tantomeno ora con la sentenza su Roscini”.
A proposito di Roscini, sarà in corsa a Rovereto?
“Se la mia interpretazione delle norme è corretta Roscini potrà correre per la carica di presidente ma non avrà diritto di parola in assemblea in quanto inibito da tutti i momenti di ritrovo per i tesserati che siano gare, premiazioni o una Assemblea Ordinaria come quella di Rovereto. Ma questo è solo il mio punto di vista, ci sono degli organi che hanno il compito di decidere in merito”.
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Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna e Sardegna: non le fa un pò specie che siano gli stessi presidenti neo-eletti in nome del “cambiamento” a sostenere che a livello nazionale serve dare “continuità”?
“Vogliono continuità perchè abbiamo lavorato insieme in questi anni e hanno capito che Di Rocco è utile anche per la loro crescita. Questo è il cambiamento che abbiamo prodotto in questi anni: abbiamo creato una nuova classe dirigente a livello federale che ora è pronta per portare avanti il lavoro fatto fino ad oggi. Cambiare tanto per cambiare non vale la pena. Va bene fare spazio ai giovani, ma questi devono avere qualità: non credo alla rottamazione fatta solo per questioni di età anagrafica…”
Quindi Norma Gimondi è giovane ma senza qualità?
“Ho letto il libro di Papa Francesco: se lui dice di non essere nessuno per poter giudicare le persone, io mi sento ancora più piccolo e non giudico gli altri. Parlo per me: in questi anni ci ho messo passione, impegno e competenza, credo di aver realizzato qualcosa. Poi c’è sempre chi è più bravo…”
Quali sono gli uomini e le donne che vorrebbe con sè nei prossimi quattro anni?
“Gli uomini li decide l’assemblea. Di certo mi porto avanti Daniela Isetti e Michele Gamba che sono stati i miei vice in questi ultimi quattro anni. Hanno fatto un buon lavoro tutti e due, ci hanno messo impegno e non si sono mai tirati indietro. Il Centro Studi realizzato da Daniela Isetti è stato un bel salto di qualità per il nostro movimento: sia nella formazione dei tecnici sia in supporto della nazionale. Dalle schede di gradimento compilate dai partecipanti vediamo che c’è tanta richiesta di formazione continua ma anche il riconoscimento del lavoro che abbiamo fatto insieme. Per quanto riguarda i tecnici, Davide Cassani ha lavorato bene e ha portato ad attivare un vero dialogo con le società. Sui consiglieri sono felice di vedere che finalmente anche le varie regioni hanno iniziato a ragionare sulle competenze specifiche di ciascun candidato e non solo per semplice appartenenza territoriale. Questo è importante perchè poi all’interno del Consiglio Federale ognuno ha il proprio ruolo”.
Ma è davvero così importante il Consiglio Federale? Non era lei il Presidente-padrone, che decideva tutto con le delibere presidenziali?
“Io avevo il Consiglio di Presidenza e il commissario ad acta nominato per volontà del Coni l’ha tolto. Io ho anche chiesto di poterlo istituire nuovamente. Oggi prima di assumere una qualsiasi decisione la mando in anteprima a tutti i Consiglieri che mi possono segnalare le loro impressioni di cui ho sempre tenuto conto. Il Bilancio federale, oltre ad essere controllato da una società di revisione, lo mandiamo al Coni per una ulteriore certificazione. Tutti gli ordini del giorno del Consiglio Federali vengono inviati per tempo a tutti i comitati regionali. Ai consiglieri mando perfino gli articoli di stampa, le circolari e gli ordini del giorno del consiglio direttivo UCI. Poi se si dà un incarico a qualcuno e questi non lo svolge come dovrebbe o non se ne cura è ovvio che qualcuno quel lavoro lo deve pur fare…”
A proposito, si vocifera di un divorzio dal Segretario Generale della FCI: è vero che in caso di rielezione sostituità Maria Cristina Gabriotti?
“No, questa è una di quelle notizie che servono solo a destabilizzare gli equilibri prima dell’assemblea. Fino ad oggi abbiamo fatto tutto internamente: dal sito, all’aspetto marketing, alla creazione del Fattore K. Nel prossimo quadriennio, invece, si potrebbe pensare a sviluppare queste potenzialità con delle preziose collaborazioni esterne”.
Renato Di Rocco: presidente per altri quattro anni, e poi?
“E poi basta”.
Dice per davvero?
“Sinceramente si. Credo che in questi anni abbiamo affrontato tutti gli aspetti del ciclismo: abbiamo implementato il settore giovanile, abbiamo regolamentato anche eticamente quello amatoriale, abbiamo incluso la MTB che nel primo quadriennio con D’Alto sembrava sul punto del divorzio della FCI e anche la BMX è cresciuta molto. Abbiamo curato il settore femminile creando nuove importanti gare abbinate ai professionisti o ai dilettanti, mentre siamo tornati a dare impulso alla pista e alla cronometro. Mi piacerebbe ripartire da qui: se i primi otto anni erano serviti a risanare la FCI, negli ultimi quattro abbiamo finalmente potuto dare forza alla nostra progettualità: ora abbiamo una nazionale che funziona, degli atleti validi che sono cresciuti gradualmente ed è arrivato il tempo di divertirci. Sono fuori casa per 300 giorni all’anno, il rapporto con il territorio credo non sia mai mancato e siamo arrivati a dare un ricambio generazionale in tutte le regioni chiave per il ciclismo italiano. Chiedo altri quattro anni per poter godere dei frutti di tanto lavoro e per portare a compimento i tanti progetti avviati: poi lascerò il comando a quella nuova classe dirigente che abbiamo cresciuto e fatto maturare”.
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