Tra i tanti scandali politici che si sono susseguiti in queste settimane c’è una notizia che è passata quasi sotto traccia: il Senato, infatti, ha approvato la scorsa settimana l’emendamento della parlamentare e olimpionica Josefa Idem (PD) fissando un tetto di due mandati per i dirigenti del Coni e delle Federazioni.
DUE MANDATI, NON UN GIORNO DI PIU’ – Il provvedimento approvato con 143 voti favorevoli, 25 contrari e 12 astenuti, dovrà ora passare all’esame della Camera dei Deputati ma, se non dovesse subire modifiche, potrebbe decretare una vera e propria rivoluzione nel campo dirigenziale dello sport italiano.
Sul tema esisteva già una disposizione di legge (d. lgs. 242/99) che nel testo originario del 1999 stabiliva che il presidente e i componenti della giunta nazionale del Coni non potessero restare in carica per più di due mandati. Fermo restando tale limite, con una modifica apportata nel 2004 si è successivamente ammessa la possibilità di un terzo mandato consecutivo.
“Il presente disegno di legge punta dunque a recuperare e rafforzare la ratio originaria della norma, stabilendo che sia in ogni caso preclusa la permanenza in carica del presidente e della giunta nazionale oltre il termine di otto anni. Inoltre, al fine di stimolare e sostenere un analogo ricambio direttivo ai vertici delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate, si è ritenuto di estendere anche al presidente e ai membri degli organi direttivi di tali federazioni la medesima disciplina della limitazione dei mandati, comprensiva della nuova clausola di durata massima ad otto anni” si legge nella nota di presentazione diffusa dalla Idem. “Infine, per scongiurare qualunque interpretazione discorsiva o elusiva della nuova disciplina proposta, fermo restando il rispetto per l’autonomia gestionale del CONI, si è fissato un termine per l’adeguamento dello statuto alle nuove disposizioni, decorso il quale il Ministro per i beni e le attività culturali può dichiarare decaduti i componenti degli organi direttivi del CONI privi dei requisiti di legge per la permanenza in carica”.
In definitiva, un intervento legislativo quale quello proposto, che sottragga il CONI e le federazioni sportive nazionali al rischio di cristallizzazioni nell’assetto gestionale, dovrebbe essere funzionale prima di tutto a garantire efficienza e credibilità alle istituzioni sportive del nostro Paese, ma dovrebbe anche costituire un utile segnale di risposta alle istanze di moralizzazione della classe dirigente che sempre più spesso si levano dalla società civile.
I CONTI DEL CONI NON TORNANO – Nel corso della discussione in aula a Palazzo Madama, che ha riguardato il senso e le prospettive del Coni e delle federazioni sportive è intervenuto anche il Sen. Michelino Davico (GAL) che ha accolto positivamente la novità introdotta dal nuovo decreto legislativo ma che ha invitato il Parlamento a voler analizzare l’intera situazione dello sport italiano criticando aspramente la gestione economica del Comitato Olimpico. “Piuttosto – scrive il senatore Davico – siccome di quattrini pubblici si tratta, non sarebbe più interessante conoscere gli esiti dei controlli eseguiti da parte del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – Ispettorato dei Servizi Ispettivi – nei confronti del CONI e delle sue Federazioni in merito alla gestione finanziaria di queste ultime? Non sarà piuttosto interessante scoprire chi lavora bene e chi invece crea debito alla propria federazione? Eventualmente, a quest’ultimo, altro che rinnovargli il mandato, ne dovrebbe essere sancita per legge l’automatica decadenza!”.
Ebbene, ciclismoweb.net è andato a spulciare le carte, ed ecco i conti: nel 2012, anno analizzato dalla Corte dei Conti, durante il quale sono emersi irregolarità e sprechi rilevanti, il CONI disponeva di risorse per 428 milioni (di cui 408,9 provenienti dal ministero del Tesoro) e ha versato a Federazioni, discipline associate, enti di promozione sportiva e forze armate circa 246 milioni.
“Il resto, cioè la bella cifra di 182 milioni, serve infatti al funzionamento del Coni stesso. Poco meno di un quarto di questi fondi – ha spiegato il senatore Davico – cioè oltre 40 milioni, viene speso per il personale, mentre per esempio solo 5 milioni (5 su 428!) sono destinati al “progetto di alfabetizzazione motoria” nelle scuole primarie, varato insieme al Miur. Un investimento che non può certo considerarsi sufficiente a diffondere una vera cultura sportiva in famiglia, a scuola, nella società. Una società in cui un bambino possa sviluppare le proprie abilità motorie – tutte – per poi specializzarsi, eventualmente, in una disciplina. Ma sembra quasi che al Coni e alle federazioni – e ai loro dirigenti, alcuni dei quali restano lì decenni e decenni – questo non interessi: così oggi nella civilissima Italia, ai primi posti per progresso e cultura, solo la metà dei bambini pratica sport (due volte a settimana) e il 23 per cento dei giovani tra i 6 e gli 11 anni ha problemi di obesità. A conti fatti – ha concluso – restano, tanto per precisione e per chiudere il discorso, oltre 130 milioni di euro che, quello sì, mi piacerebbe vedere documentati”.
Il decreto legislativo prosegue il proprio iter parlamentare in un momento decisivo per il futuro dello sport italiano: dopo Rio 2016, infatti, tutte le federazioni sportive, FCI compresa, saranno chiamate a rinnovare i propri vertici e se la nuova norma dovesse entrare in vigore in tempo, saranno molti gli sport italiani che dovranno programmare un vero e proprio ricambio generazionale nei propri quadri dirigenziali. Ma il coperchio aperto dalla discussione in aula promette anche l’adozione di altri provvedimenti in tema di gestione economica e finanziaria dello sport italiano: sullo sfondo, infatti, resta la corsa verso le Olimpiadi di Roma 2024. Un traguardo che la normativa vigente consentirebbe al presidente CONI, Giovanni Malagò, di raggiungere agevolmente ma che, alla luce del nuovo decreto legislativo, potrebbe chiamare qualcun’altro a tagliare i nastri dell’inaugurazione romana.
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