Da corridore a DS. Per Marco Marcato, professionista dal 2005, il passo è stato breve: nelle ultime gare del 2021 è salito direttamente in ammiraglia e a fine anno ha preso parte al primo raduno della UAE Team Emirates ad Abu Dhabi.
“Sapevo che il 2021 avrebbe potuto essere il mio ultimo anno in bicicletta. Poi tra maggio e giugno sono sorti i problemi al cuore e ho dovuto fermarmi per una ablazione. L’operazione è andata bene, sono tornato al Giro di Polonia ma alcuni disturbi si sono ripresentati e ho deciso insieme all’equipe medica del Dott. Zorzi e alla squadra che era arrivato il momento di scendere di bicicletta. Avrei voluto chiudere correndo il Giro del Veneto ma la vita è così e bisogna assecondarla” esordisce il padovano di Selvazzano.
Il Giro del Veneto, però, lo hai affrontato lo stesso…
“Si. E’ stata la mia prima uscita in ammiraglia in supporto ai tecnici della squadra. E’ andata molto bene e mi ha permesso ci toccare con mano come le stesse corse viste da dirigente sono completamente diverse rispetto a come si vivono da corridore”.
Una prospettiva nuova?
“Da atleta sei concentrato solo sulla preparazione, sulla prestazione e sulla corsa mentre quando sali in ammiraglia ti rendi conto cosa comporta la gestione del team e la programmazione di tutti gli aspetti relativi ad una trasferta. Un lavoro che mi piace e che mi stimola”.
Nel 2022 dunque ti vedremo nelle vesti del Direttore Sportivo?
“Si ho già preso parte al primo raduno che abbiamo fatto ad Abu Dhabi: nel mese di dicembre verranno fatti i programmi per la nuova stagione e poi ci raduneremo a gennaio per un nuovo ritiro di finalizzazione”.
Che squadra sarà la UAE 2022?
“Un team ben equipaggiato che vuole diventare la miglior squadra al mondo. Negli ultimi tre anni, anche grazie a Tadej Pogacar abbiamo fatto un bel salto di qualità. In queste settimane sono arrivati corridori importanti come Pascal Ackermanm, George Bennett e Joao Almeida con cui potremo puntare ad essere competitivi su tutti i terreni”.
Quali saranno le rivali con cui dovrete misurarvi?
“In questi anni il ciclismo è cambiato molto: una nuova generazione ha preso il sopravvento. Oggi le formazioni più forti sono senza dubbio quelle che hanno investito sui giovani come la Jumbo Visma e la Deceuninck Quick Step ma noi non siamo da meno”.
Guardandoti indietro rifaresti tutto quello che hai fatto?
“Posso dire che ho smesso di correre ma senza rimpianti. Nei primi anni tra i professionisti ho provato a fare il leader, ho lottato per successi di prestigio, alcuni li ho centrati e poi ho capito che il mio ruolo poteva essere anche quello dell’uomo squadra. Per me non è stata una limitazione, anzi, in questo modo ho potuto vivere emozioni uniche come la vittoria al Tour de France al fianco di Pogacar. Si, credo che rifarei esattamente ciò che ho fatto perchè mi ha reso felice”.
Nel tuo passato ci sono state anche tante soddisfazioni nelle categorie giovanili. Pochi giorni fa se ne è andato Carlo Endrizzi, una figura determinante nella tua crescita. Cosa ti resta di lui?
“Ho corso con la Tosetto Pressix da juniores, per due anni e ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada un maestro come Carlo. Con lui abbiamo vissuto tanti bei momenti ma ciò che mi resta di più di lui è la sua presenza costante. Se mi guardo indietro vedo che lui è sempre stato al mio fianco. Non solo quando correvo con la maglia del suo team ma anche quando sono diventato professionista: lui mi chiamava per farmi i complimenti quando le cose andavano bene e mi è stato vicino anche quando ho incontrato delle difficoltà. E’ stata una persona e un dirigente straordinario. Senza di lui tutto il ciclismo giovanile è più povero”.
A proposito di ciclismo giovanile: da direttore sportivo come valuti il vivaio italiano?
“In questi anni anche se ero impegnato a gareggiare non ho mai perso il contatto con le società del mio territorio. Sono società a cui andrebbe fatto un monumento per quanto fanno per i nostri giovani. Solo grazie a loro il ciclismo sta andando avanti ma stanno incontrando sempre più difficoltà e sempre più responsabilità. Oggi portare un ragazzino di 10 anni ad allenarsi sulla strada è pericoloso: servono ciclodromi e circuiti chiusi per consentire a tanti bambini di pedalare in sicurezza ma sono ancora poche le amministrazioni comunali che accolgono questa necessità come una priorità. Si parla sempre più spesso di mobilità sostenibile e di ecologia ma servirebbe un aiuto concreto della politica al mondo del ciclismo giovanile, i talenti da far crescere ci sono”.
Guardando ai professionisti invece, quando tornerà in Italia una squadra World Tour?
“Credo che il problema sia solo finanziario. Inutile nascondersi: oggi non è conveniente porre in Italia la sede di un team di alto livello. Troppe tasse, troppi balzelli che, invece, all’estero non ci sono. Non è un caso se diverse squadre World Tour possono contare su sponsor italiani così come i migliori tecnici in circolazione sono italiani. Investire nel nostro Paese, però, oggi è troppo difficoltoso. E’ un peccato perchè questo costringe i nostri ragazzi a fare le valigie e andare a correre all’estero se vogliono seguire una carriera di alto livello. Mi auguro che anche in questo caso arrivi un aiuto dalle istituzioni per far si che questo sogno possa realizzarsi in un futuro prossimo”.