Il viso è sereno, rilassato, si abbracciano lui e il team manager Renat Khamidulin. Una scommessa vinta quella del giovane russo Aleksandr Vlasov. Vestire la maglia rosa del Giro d’Italia Under23. Dopo mesi di patimenti, un inverno e un inizio di primavera di tensione all’interno del gruppo Gazprom, finalmente è tornato il sereno. Un lungo abbraccio liberatorio dietro il palco che solo fra due persone che hanno avuto tensioni possono finalmente stemperare. Vlasov è professionista a tutti gli effetti. Ha corso la Milano – Sanremo, ha corso la Tirreno – Adriatico, preso parte a diverse gare tra i professionisti per fare il ritmo, racconta in Italiano fluente.
Poi l’altura a Livigno e soprattutto la gestione oculata di Paolo Rosola, suo direttore sportivo italiano, lo hanno portato in vetta al mondo “rosa” della gara a tappe tricolore più importante sul suolo italiano. “Avevo paura davvero di questa cronometro real time – racconta carico di gioia Alexandre -. Bastava poco per sbagliare. Non avevo riferimenti, non avevo metri di misura, partivo per primo ma dietro di me avevo corridori che effettivamente in classifica stavano dietro di me. Insomma una situazione surreale. Ma io ci ho dato dentro a tutta. Dal primo chilometro. Temevo ovviamente Donovan e Standard”.
Quante volte hai visto il percorso?
“Tre volte, ero nervosissimo. Anche se conoscevo bene ogni curva ogni strappo di queste zone, perché ho fatto la corsa di San Vendemiano e il Poggio lo abbiamo fatto più volte. L’ho memorizzato per bene. 20 chilometri di stress in questa crono perché non sapevo ad ogni metro cosa sarebbe potuto accadere dietro di me”.
Sei professionista…
“Si ho la fortuna in Gazprom di poter fare delle corse anche con i professionisti. E’ utile, anzi fondamentale e lo consiglio ai miei coetanei. Un modo completamente diverso di correre”.
Come è stato questo Giro?
“Duro, duro anzi durissimo. Mai un attimo di respiro. Però davvero spettacolare ed emozionante”.
Sivakov consegna il Giro a Vlasov. Da un russo ad un altro russo.
“Non possiamo dire di non avere dei russi forti – è raggiante Renat Khamidulin -. Ma questa è una vittoria ancor più entusiasmante per tanti motivi. Ora lavoriamo con più morale. Per noi era importante dimostrare che contiamo ancora nel ciclismo”.
Stannard sembra un po’ abbattuto.
“Pensavo davvero di vincerlo questo Giro. Sono stato ad un passo dall’indossare la maglia. Ho purtroppo dovuto fare i conti con una tappa che mi ha penalizzato. Tre minuti erano tanti da recuperare. Mi accontento della vittoria di tappa a cronometro e del terzo posto in classifica generale, anche se Almeida mi ha anticipato di soli duecento metri”.
Una classifica ribaltata, che per certi versi ricalca l’arrivo della crono, ma a salti, con quelli della classifica generale. Nella crono e nella generale comunque il primo degli italiani sono rispettivamente Affini e Covi. E davvero a questo punto, Davide Cassani con il gessetto in mano, alla lavagna, al suo fianco Marino Amadori e sui banchetti come bravi scolaretti, i direttori sportivi italiani e magari anche qualche corridore, ci si deve sedere tutti insieme e tornare a scuola. Imparare da Vlasov, da Stannard, da Bjerg, da Almeida come si fa ciclismo.
Affini al momento è l’unico azzurro che ce lo può spiegare, visto che lui ha preso la sua valigetta e si è trasferito in Belgio. Parla inglese fluentemente e si confronta con i suoi compagni stranieri. I nostri vanno alla sagra della pannocchia. Su qualche corridore puntavamo le nostre speranze tricolori ma alla fine le classifiche parlano chiaro. Non ci siamo. Qualcuno ha soluzioni, oltre alla genialata della crono?
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